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Non solo la Libia: i duelli per l'energia e per l'"influenza" in Albania e Somalia

La posta in gioco fra Italia e Turchia è molto alta su diversi scacchieri. Nel 2020, nonostante la frenata provocata dal Covid, l'interscambio commerciale con la Turchia aveva un valore di 15 miliardi.

Non solo la Libia: i duelli per l'energia e per l'"influenza" in Albania e Somalia

Quindici miliardi di interscambio commerciale, 1.550 aziende italiane in Turchia, ma pure il braccio di ferro sulla Libia, il «grande gioco» del gas nel Mediterraneo orientale, la penetrazione in Somalia e nei Balcani. Per non parlare dei migranti che percorrono la rotta balcanica. La posta in gioco fra Italia e Turchia è molto alta su diversi scacchieri.

Nel 2020, nonostante la frenata provocata dal Covid, l'interscambio commerciale con la Turchia aveva un valore di 15 miliardi. I settori più interessati riguardano macchinari, apparecchiature e industria chimica. L'Italia è il secondo partner europeo di Ankara dopo la Germania ed il quinto mondiale. Non a caso ci sono 1.550 aziende che operano con la Turchia. E lo scorso anno sono stati investiti oltre 820 milioni di euro.

Nonostante lo sbandierato stop alla vendita di armi ad Ankara dopo l'attacco ai curdi in Siria, gli affari si sono fermati solo in parte. Dal 2015 al 2019 i governi italiani hanno dato via libera alla vendita di materiale bellico per 890 milioni di euro. Leonardo ha sempre fatto la parte del leone con accordi di sviluppo dei satelliti di osservazione, elicotteri simili a quelli d'attacco Mangusta, cannoni della Marina e sistemi di comunicazione per fini militari.

Le vere sfide sono le partite geopolitiche a cominciare dalla Libia. I turchi ci avevano scalzato scendendo militarmente in campo a Tripoli contro il generale Khalifa Haftar che assediava la capitale. In cambio hanno ottenuto dai libici una zona economica esclusiva, che prevede lo sfruttamento congiunto delle risorse energetiche. Erdogan si è fatto assegnare concessioni senza gara per le esplorazioni energetiche in aree che erano già state assegnate ad Eni.

E la flotta turca non si accorge mai dei migranti che partono dalle coste libiche verso l'Italia. La recente visita del premier Draghi a Tripoli ha iniziato a ribaltare le carte.

Il vero scontro riguarda il «grande gioco» del gas nel Mediterraneo orientale. La flotta turca ha già intimorito le navi di esplorazione italiane al largo di Cipro e siamo stati costretti a inviare una nostra unità militare. L'Italia fa parte dell'East Mediterranean Gas Forum, che punta a trasportare via nave il gas liquefatto dall'Egitto verso l'Europa. Un mercato di 350 miliardi di metri cubi con l'Italia hub di ricezione. Greci, ciprioti e israeliani sognano addirittura un costoso gasdotto sottomarino che arrivi sulle nostre coste. Ambedue i progetti tagliano fuori la Turchia.

La penetrazione di Ankara si incrocia con quella italiana anche in Somalia e nei Balcani. I turchi hanno messo in piedi a Mogadiscio una base da 50 milioni di dollari per addestrare intelligence ed esercito somalo. Un centinaio di militari italiani, per conto dell'Unione europea, si occupano anche di formazione militare, ma Erdogan ha già siglato un accordo per lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi molto simile a quello siglato con la Libia.

In Bosnia e Kosovo, aree di influenza italiane, il neo sultano è considerato una specie di eroe che ricambia con aiuti, affari e moschee.

E l'Unione europea, nonostante gli sgarbi, sta rinnovando l'accordo da 6 miliardi di dollari servito a diminuire il flusso di migranti della rotta balcanica che partono dalla Turchia per arrivare da noi.

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