Oggi parlare di Arabia Saudita fa venire in mente non solo il petrolio, ma soprattutto il vecchio cuore rossonero Sandro Tonali strappato al Milan per circa 60 milioni di sterline dal Newcastle, controllato direttamente dal fondo sovrano Pif. Oppure fa pensare alla Saudi League dove a far compagnia a CR7 sono arrivati Neymar, Benzema, Kessie e Koulibaly.
Ma il calcio è solo la punta dell'iceberg di una strategia che parte da lontano e che tenta di fare della capitale Ryad uno dei centri di potere globali a scapito dell'Occidente di cui i sauditi sono stati buoni alleati, almeno fino allo scoppio della guerra in Ucraina. Il conflitto ha reso il petrolio ancor più imprescindibile per le economie G7, quelle europee in particolare, visto lo stop al gas russo. E così il principe ereditario Mohammed bin Salman ha intuito che proprio il prezzo in rialzo dell'oro nero era un fattore per conquistare egemonia finanziaria. L'Arabia Saudita, nell'ambito dei Paesi Opec+, ha spinto per tagli alla produzione (1 milione di barili al giorno almeno fino a ottobre dopo gli 1,6 milioni tagliati l'anno scorso). E anche se il greggio non costa più 120 dollari al barile come allo scoppio del conflitto, il Brent non si schioda dalla forchetta 85-90 dollari.
Il risultato? Da una parte Mosca può vendere petrolio sottocosto a Cina e India, mentre Ryad fa affari d'oro con l'Occidente. Dall'altro lato, Saudi Aramco capitalizza in Borsa la bellezza di 2.000 miliardi di euro, grosso modo quanto il Pil dell'Italia e oltre il doppio di quello dell'intera Arabia Saudita. Ecco perché, nonostante un calo dei profitti legato al calo delle quotazioni del greggio rispetto ai record 2022, la compagnia saudita ha potuto promettere dividendi ancor più generosi ai suoi azionisti, famiglia reale inclusa.
L'importante è mantenere quella fatidica quota 85 dollari al barile perché Ryad ha bisogno che il greggio non costi meno di 78 dollari per guadagnare. Il perché è presto detto. Con la collaborazione della Cina, Ryad sta pianificando il rafforzamento delle attività minerarie che comprendono anche giacimenti di oro, uranio e terre rare. Non solo petrolio, dunque, ma anche energia nucleare e batterie elettriche. Ovviamente, anche nella mobilità elettrica il fondo sovrano Pif (il più grande del mondo con oltre 600 miliardi di dollari di attivi) è il driver della crescita con l'acquisizione della maggioranza della statunitense Lucid Motors e la partnership tra la saudita Ceer e Bmw. D'altronde, anche gli investimenti green previsti hanno numeri faraonici: oltre 180 miliardi di dollari. Anche il turismo sta crescendo e veleggia verso i 2 miliardi di dollari di valore.
Visti in quest'ottica, i 10 miliardi investiti nel calcio (che si aggiungono a quelli nel golf, nel rally e nella F1) sono bruscolini.
Molto più «pesante» dal punto di vista politico il fatto che il vertice per avviare un percorso di pace in Ucraina si sia svolto a Gedda. È lo specchio dei tempi: l'Oriente è sempre più determinante, mentre l'Occidente si rattrappisce.
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