Velo o tacchi alti non possono essere indici su cui calcolare la dignità. Il velo ha un valore anche religioso, il nostro modo di vestire ha invece a che fare con la libertà. È inoltre impossibile, come afferma Iungo, vedere nella dignità della donna «uno dei criteri fondamentali su cui si misuri il valore di una civiltà». Lo stesso concetto di dignità è inadatto alla misurazione, in quanto varia da una civiltà all'altra e ha a che fare con la morale che in una civiltà vige. Da noi le donne sono libere. Ed è qui il vero punto su cui soffermarsi per ragionare sul grado e sul valore di una civiltà: sottomissione o libertà? Per noi la dignità è una condizione di nobiltà morale, che non passa necessariamente da come ci vestiamo, ma da quanta libertà abbiamo per essere pienamente ciò che siamo: donne, femmine della specie, ma ancora prima esseri umani senzienti e dotati di un corpo che ci appartiene e di un intelletto che abbiamo imparato a far valere.
La nostra dignità allora passa dall'atteggiamento verso la nostra vita e quella altrui. Dalla nostra determinazione nel raggiungere le mete prefissate. Dalla nostra professionalità, che prescinde dal fatto che indossiamo i pantaloni o la minigonna. Dalla possibilità di scegliere che lavoro fare, chi frequentare, se stare sole o creare una famiglia. Senza doverci preoccupare di coprire il capo davanti agli altri, per non essere socialmente stigmatizzate, se non addirittura, come accade, ferite nel corpo e nell'anima. Possiamo mostrarci al mondo nella nostra interezza, dunque anche nella nostra intrinseca femminilità. Stiamo davanti e dentro il mondo, non come proprietà di un uomo solo a cui mostrare la nostra bellezza, ma come persone libere. La differenza alla fine è tutta qui: essere sottomesse e soggette alla volontà altrui oppure no. La nostra identità, di tutti, passa anche dallo sguardo degli altri. Ma noi possiamo scegliere quali altri e quanti. Senza nessuna costrizione né sociale, né religiosa. È vero, ci sono ancora ostacoli culturali, ma la nostra dignità passa anche dalla possibilità di lottare per superarli, così come da quella di poter gestire il nostro corpo, senza nessuna forma di asservimento o di limitazione che non sia esclusivamente nostra. Noi possiamo portare i tacchi a spillo o i mocassini, il velo o la capigliatura al vento. Non passa da lì il nostro essere degne. Sono semplici metafore del fatto che siamo padrone delle nostre esistenze. Che viviamo in una civiltà che non teme le differenze e sa tenere alto il valore innanzitutto umano. E così facendo tiene alto il valore proprio.
I tacchi alti, che in effetti non sempre è facile portare, li mettiamo in primis perché piace a noi.
Quello che fa davvero la differenza nel misurare il valore di una civiltà, è allora il grado di libertà entro il quale ogni suo componente, maschio o femmina che sia, col velo o con una bella scollatura, può esistere nel rispetto degli altri e di sé.
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