"Le note e l'inno d'Italia. L'intervento al cervello è diventato un concerto"

Il chirurgo ha operato il paziente che suonava il sax: "Ho studiato i brani per capire gli errori"

"Le note e l'inno d'Italia. L'intervento al cervello è diventato un concerto"

È passato qualche giorno da quando Christian Brogna, neurochirurgo al Paideia International Hospital di Roma, esperto internazionale di chirurgia dei tumori complessi, ha operato G.Z., 35 anni, moldavo naturalizzato romano. Gli ha rimosso il cancro dal cervello mentre lui, musicista professionista, era sveglio e suonava il sax. Un intervento durato 9 ore e accompagnato, per gran parte del tempo, dalla musica.

Dottor Brogna, ha già sentito il suo paziente? Come sta?

«Certo che l'ho sentito. Mi ha anche mandato un video di lui al mare con la sua famiglia. Due giorni e mezzo dopo l'operazione è stato dimesso e ora sta riprendendo la sua vita, musica compresa».

Cosa le ha detto?

«Mi ha detto che gli sembra come se non fosse accaduto nulla. Abbiamo commentato insieme il clamore del suo intervento, l'attenzione della stampa. Lo ha anche contattato per un'intervista una tv svizzera. Praticamente un vip. Era felice».

Si aspettava tutto questo?

«Sì. Tant'è vero che prima dell'intervento gli ho chiesto: cosa vuoi che racconti della tua storia? E lui mi ha chiesto di raccontare della tranquillità che ha provato sia prima di entrare in sala sia durante l'operazione».

Cosa ha suonato con il sax in sala?

«Ha suonato sia Love Story, molto romantico. Sia l'inno nazionale. A oltranza. Ce l'ho ancora nelle orecchie. Tutta l'èquipe ha molto gradito la scelta dei brani. Al suo prossimo concerto saremo tutti in prima fila».

Perchè è stato importante farlo suonare a cervello aperto?

«Perchè ci ha permesso sia di accorciare i tempi dell'intervento, sia di rendere l'operazione più efficace. Di fatto siamo riusciti ad avere una verifica in presa diretta delle sue funzionalità cerebrali. Una delle difficoltà che abbiamo dovuto affrontare è stata che il paziente è mancino».

Come vi siete preparati all'intervento?

«Abbiamo studiato nota per nota i brani musicali eseguiti al sax. Così eravamo in grado di individuare eventuali errori durante l'intervento. E poi ho conosciuto nel dettaglio G., abbiamo parlato tanto. Sono entrato a fondo della sua intimità, di ciò che per lui è importante, dello stile di vita che vuole. Informazioni utili in caso di complicazioni, insomma nel caso in cui ci fossimo trovati a decidere qualche aspetto delle sue funzionalità sacrificare. C'era il rischio che non potesse più muovere le dita o una parte del corpo, oppure che compromettesse il linguaggio. Invece è andato tutto molto bene».

Per dirla come a un concerto, un'ottima esecuzione.

«Per formare la mia équipe - 10 professionisti provenienti da tutto il mondo - ho scelto i 'musicisti' migliori, proprio come si fa per il concerto più importante».

E lei è stato il direttore d'orchestra.

«Sì. Ma quello che ha fatto davvero la differenza è stato il mio solista: cioè il paziente, parte attiva e fondamentale dell'operazione».

Ora che tutto si è concluso, sta sciogliendo la tensione?

«Sì, mi sto gustando la felicità di G., il sorriso di sua moglie, la gioia dei suoi figli. Anni fa, quando ho iniziato questa professione, mi sono ripromesso di rispettare ogni paziente, ogni cervello».

Lo stesso tumore avrebbe richiesto modalità diverse su un altro paziente?

«Ogni cervello è

unico, ha connessioni diverse che cambiano di giorno in giorno. Siamo diversi e 'in movimento', come ogni stella nell'universo. Edgar Allan Poe l'aveva capito bene anni fa e anche la neurochirurgia lo dimostra. Ogni volta».

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