Premessa: «Con Fratoianni e molti dei suoi ho condiviso un'importante esperienza politica, sono amici, non mi permetterai di dare giudizi, decidono loro». Poi Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera, ex leader di Rifondazione Comunista, dice la sua al Giornale. A cominciare dall'accordo tra Calenda e Letta. «È un colpo mortale per chi, in quell'area, ha la vocazione a fare il leader della sinistra, in Italia morta da tempo. Il Pd è una forza politica che si giustifica solo sulla governabilità: forza di governo e del governo senza una precisa connotazione politica. Stavamo già male. Ma l'accordo con Calenda inquieta perché rappresenta, per l'insieme di quelle forze, uno spostamento a destra significativo».
La posizione atlantista di Azione è la stessa rivendicata da Letta come forza di maggioranza.
«C'è differenza tra stare in un governo che persegue una politica atlantista e di guerra e invece assumere questa prospettiva come soggettività politica per scelta strategica esplicita, non per un vincolo di coalizione. Questo fa l'accordo Pd-Calenda, rende quel punto un cardine dell'alleanza. Poi c'è l'agenda Draghi, eletta a bandiera del programma di governo. Anche qui passando dal fronteggiare l'emergenza all'assunzione strategica di una collocazione che ti definisce come forza per un governo di mercato, liberale, privo di qualunque vocazione di riforma sociale. L'accordo è uno spostamento a destra significativo. Chi ha una vocazione di sinistra non solo non può starne vicino, ma deve stare contro».
Ma, dicono Calenda e Letta, ci sono da battere le destre.
«L'accordo fa sparire lo scontro destra-sinistra e produce una competizione tra un centro neoconservatore e questa destra che è quella che è. Non chiedeteci di scegliere tra la peste e il colera».
Aveva ragione Calenda quando diceva che essere contro la destra non è programma elettorale?
«Be', non bisognerebbe avere un programma di destra come quello che caldeggia lui, la cui bandiera è la lotta all'unica cosa buona di questi anni, il reddito di cittadinanza».
E se Letta e Fratoianni trovassero la quadra?
«Se le forze di sinistra confluissero in un'alleanza, quale che sia la forma alchemica per giustificarla, vedrebbero pregiudicata la loro possibilità-necessità di lavorare alla rinascita di una forza di sinistra antagonista che oggi in Italia non c'è. Di fronte all'accordo Pd-Calenda non c'è giustificazione per allearsi da sinistra. Nemmeno col bizantinismo di un programma diverso. Si sarebbe convoglio quando la locomotiva è la piattaforma conservatrice dell'accordo Pd-Azione. O si lavora alla rinascita di una sinistra radicale e influente o ci si allea col Pd. Non essendo né radicali né influenti».
Meglio divisi, dunque?
«La sinistra non può rinascere dai rapporti tra le forze politiche ma dal conflitto sociale, contro il centro e contro la destra, come Mélenchon in Francia e Podemos in Spagna. Non puoi cominciare da una costola di questa che non è più una sinistra per rifare l'operazione di rinascita. C'è una formula di Gramsci che in quadri come questi è una linea guida, quando parla di spirito di scissione».
Cosa dovrebbero fare i suoi eredi?
«Vedo tre strade. La prima è una campagna astensionista e di critica radicale al sistema. La seconda è riconoscere che non ci sono le condizioni per competere come forza di sinistra, saltare il giro disponendosi a un lavoro di più lungo periodo. La terza: partecipare alle elezioni ma con una propria visibilità e riconoscibilità, contro il centro e contro la destra. Prima delle alleanze devi definire chi sei. E devi parlare a quel 50 per cento di italiani che non vota e, tra loro, a quelli in condizioni di disagio e di povertà, perché è la parte più popolare del Paese che non vota».
Lei per chi voterà?
«La mia bussola gliel'ho detta: contro il centro, contro la destra. Vedremo nella campagna elettorale che traduzione potrà avere il mio voto».
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