Una telefonata ti allunga la vita. Un tempo era uno spot. Diciassette anni dopo quella trovata pubblicitaria sembra quasi il surreale presagio della tragedia dei reparti ospedalieri dove i malati di Coronavirus si affidano ad una videochiamata per l'ultimo saluto ai loro cari tenuti lontani dalle corsie. Due giorni fa l'abbiamo raccontato pubblicando su Il Giornale la drammatica testimonianza della dottoressa Francesca Cortellaro, primaria dell'Ospedale San Carlo di Milano. Ieri Luigi Gubitosi l'amministratore delegato di Telecom, azienda erede di quella Sip da cui partì lo spot, è stato fra i primi a coglierne significato ed importanza. E a voler offrire, attraverso questo colloquio-intervista con Il Giornale, la collaborazione della sua azienda. «Leggendo le parole della dottoressa ho compreso - spiega - la terribile sofferenza di chi trovandosi in quella situazione non può comunicare con i propri cari e si trova lontano dagli affetti. Dopo aver finito l'articolo mi sono detto bisogna fare qualcosa. E noi possiamo farlo. Per questo vogliamo mettere a disposizione degli ospedali con pazienti in isolamento dei tablet connessi alla rete». Quando gli ricordiamo il vecchio spot, Gubitosi sorride amaro. «É vero si diceva una telefonata allunga la vita. Io non so se l'allunga, ma in casi e momenti come questi può renderla meno dura, meno difficile. Solo mettendo degli apparati a disposizione di reparti come quello consentiremo ai malati di tenersi in contatto con i propri parenti». Ma la disponibilità di Gubitosi deriva anche dalla consapevolezza che comunicazione e rete giocano un ruolo primario nella guerra al Coronavirus. «É la prima volta che affrontiamo una situazione del genere. Per la prima volta si è creata una tale necessità di isolamento. Durante altre epidemie, penso all' Asiatica diffusasi dopo la prima guerra mondiale, non c'erano queste forme di comunicazione. In un momento come questo la comunicazione deve necessariamente fare qualcosa».
A rendere Gubitosi particolarmente sensibile all'argomento contribuisce la diffusione, anche all'interno di Tim e Telecom, del cosiddetto smart working ovvero il «lavoro da casa». L'abitudine allo smart working ne sono più che convinto rimarrà anche dopo questa emergenza. Stiamo imparando a lavorare in maniera diversa. Oggi nella nostra azienda abbiamo trentamila persone che operano da remoto. Ma il numero è in continua crescita e tutto sta funzionando estremamente bene. Per riuscirci abbiamo rivoluzionato alcuni settori chiave dell'azienda, ma ormai siamo pienamente rodati. Per questo sono convinto che l'abitudine non scomparirà, ma si protrarrà nel tempo».
A rafforzare le convinzioni di Gubitosi contribuiscono i dati delle ultime settimane. «Il traffico è raddoppiato rispetto a prima della crisi anche negli orari in cui si stava meno al telefono di casa. Per questo lavoriamo per allargare la connettività collegando più zone e più comuni e chiedendo alle varie comunità di segnalare eventuali problemi».
Ma il nuovo orizzonte potrebbe essere la telemedicina. Un tema assai attuale visto che per gli immuno-depressi incontrare i medici negli ospedali in cui circola il Coronavirus è estremamente pericoloso. Israele già oggi - come raccontato da Il Giornale - si affida a queste tecniche per assistere a domicilio i malati bisognosi di cure ricorrenti.
Tra poco, secondo Gubitosi, potremo farlo anche in Italia: «Le nuove tecnologie, come il 5G, possono sviluppare forme più evolute di telemedicina, come abbiamoillustrato in una recente campagna tv che racconta un futuro oramai molto vicino a noi. Anche su questo fronte siamo a disposizione per fare accordi con ospedali o strutture sanitarie».
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