Più che una federazione di centrodestra ci vorrebbe quello che Alessandro Campi con il Giornale chiama «partito conservatore di massa». Campi, politologo, direttore dell'Istituto di Politica e docente all'Università di Perugia, da anni segue l'evoluzione della destra e dei moderati italiani. E accoglie con riserva la proposta, lanciata su queste colonne da Matteo Salvini, di un'unione tra la Lega e Forza Italia.
Professore, siamo di fronte a una sorta di predellino 2.0?
«L'esperienza del Pdl non è stata particolarmente felice, quindi non so se sia utile riproporla. Detto questo, il tentativo di Salvini secondo me è funzionale a due obiettivi: dare l'assalto all'elettorato moderato e berlusconiano, portando con sé una parte del gruppo dirigente di Forza Italia, e dall'altro c'è la necessità di riposizionarsi nei confronti della crescita di Giorgia Meloni».
Non trova difficile però che la leader di Fdi possa ambire alla leadership di una coalizione di centrodestra?
«Sì, infatti la Meloni ha scelto di posizionarsi con successo nel campo sovranista. Di fatto, per quell'elettorato sta prendendo il posto di Salvini. Il Capitano deve trovare una nuova strada perché adesso ha una generalessa con cui fare i conti. Prenda la comunicazione sui social. Salvini era convinto di essere il migliore a usare il web, invece Fratelli d'Italia sta crescendo molto da questo punto di vista. Io credo che il leader della Lega nella Meloni riveda anche la sua storia, con un partito che è diventato grande partendo dal 4%».
La federazione, quindi, dovrebbe rappresentare i moderati?
«Negli ultimi anni la rappresentanza dell'Italia moderata è stata un problema. Ma non so se Salvini riesca a rappresentarla. Il suo movimentismo da un lato lo rende molto abile tatticamente, dall'altro può farlo risultare poco chiaro. Il leader della Lega negli ultimi anni ha vissuto tanti cambi di posizione, che alla lunga rischiano di danneggiarlo nella credibilità. Ora l'ultima svolta, quella moderata ed europeista, è partita con l'appoggio al governo guidato da Mario Draghi. Ma per rappresentare la parte di Paese moderata, liberale, riformista, conservatrice Salvini deve fare un'operazione strategica e profonda di riposizionamento. Il metodo estemporaneo invece non definisce una strategia. Gianfranco Fini ha fallito proprio per mancanza di profondità, perché ha voluto bruciare i tempi nel suo progetto di rinnovamento della destra italiana».
Cosa dovrebbero fare allora i leader del centrodestra?
«Innanzitutto, lo schema è che bisogna trovare sempre un punto d'accordo con chi non appoggia il governo Draghi, ovvero con Fratelli d'Italia. Poi, secondo me c'è una possibilità nuova».
Quale?
«Bisognerebbe provare a fare un partito conservatore di massa. Una cosa che in Italia non c'è stata mai e che sarebbe dirompente nel nostro panorama politico. Dovrebbe essere il partito della tradizione, dell'economia sociale di mercato, dei valori religiosi, delle certezze, della stabilità sociale.
La stabilizzazione della società è la grande prospettiva della tradizione conservatrice. In Italia non è mai esistito un partito conservatore. Una forza che dovrebbe rappresentare la destra sommersa di cui parlava Leo Longanesi e che, per certi versi, è stata rappresentata anche da Berlusconi».
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