Milano - Indipendentemente da quale sarà l'andamento nella giornata odierna dello spread e di Piazza Affari dopo la bocciatura impressa nella notte di venerdì scorso da Moody's al debito sovrano italiano a un pericoloso «baa3», il più basso della storia del Paese, quello che è certo è che la fase di alta tensione sul listino milanese proseguirà. Perché sebbene (per ora) il baratro del rating «junk» - spazzatura - sia stato evitato, non solo questo è avvenuto di misura ma appare chiaro come lo scontro tra Roma e Bruxelles sulla manovra finanziaria sia solo agli inizi della sua deflagrazione.
Ecco perché malgrado tra gli operatori sia palpabile la sensazione che oggi sia l'indice Ftse Mib - ormai peraltro piombato sul pavimento dei 19mila punti - sia i titoli di Stato nazionali potrebbero tirare un sospiro di sollievo (venerdì pagavano già il 3,8%), visto che Moody's ha concesso una piccola apertura di credito al governo Lega-Cinquestelle mantenendo l'outlook invariato, la fiducia in Borsa resta appesa a un filo. «I gestori di fondi internazionali hanno ridotto da tempo il peso di Bot è Btp nei loro portafogli», ricorda il direttore investimenti di una banca italiana, che definisce quella attuale una situazione di «sospensione». Questo non solo in attesa del verdetto di S&P di venerdì prossimo, la scommessa anche in questo caso è che il rating italiano sia declassato di un «notch» a «BBB-», ma di toccare con mano lo svolgimento dei negoziati politici con i guardiani del rigore europei. «Se il governo insisterà sul muro del 2,4% la situazione sui mercati imploderà al minimo segnale di difficoltà in una delle prossime aste di titoli pubblici italiani con il rischio che accada il peggio. Per contro basterebbe una chiara apertura al dialogo da parte del governo o di Bruxelles per far recuperare un po' dai minimi attuali», prosegue l'esperto chiedendo l'anonimato.
Contingenza dei listini a parte sono però almeno due gli ordini di problemi strutturali creati in prospettiva dal Def e dalla bocciatura che i «signori del rating» hanno già riservato all'Italia. Il primo è l'allargarsi del divario deficit-pil rispetto alle già ingenti esigenze di rifinanziamento messe agenda per 2019 dal Tesoro. Il secondo è sul costo finale dei mutui casa contratti dagli italiani: in proiezione tutti quelli a tasso variabile, esistenti compresi, e i nuovi a saggio fisso.
Perché la salita stabile dello spread oltre quota 300 impatterà sul costo della raccolta delle banche che, come accadrebbe a un supermercato che d'improvviso si vedesse maggiorare i prezzi da tutti i propri fornitori, saranno costrette ad essere più «larghe di maniche» sulle cedole dei propri corporate bond per fare «concorrenza» ai tondi rendimenti dei Btp, con una inevitabile ricaduta su servizi e impieghi. A partire quindi dai costi dei conti e dai tassi applicati a mutui, prestiti e leasing.Proprio quello che nuoce di più un mercato immobiliare ancora convalescente.
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