Oms, Cina in difesa: "Noi trasparenti"

Pechino rigetta le accuse. Ma l'organizzazione sanitaria è sospettata di connivenza

Oms, Cina in difesa: "Noi trasparenti"

Non c'è da sorprendersi se la Cina, dopo esser stata messa all'indice dalle rivelazioni dell'Associated Press, sia subito intervenuta ieri per contestare le accuse di aver ritardato la pubblicazione dei dati sul Coronavirus e non aver fornito informazioni cruciali all'Organizzazione mondiale della Sanità. Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Zhao Lijian, ha definito non aderenti ai fatti le notizie pubblicate da tutti i media occidentali, che hanno citato registrazioni di riunioni e documenti interni dell'Oms. «Non so da dove provengano questi documenti interni, ma posso assicurarvi che alcuni rapporti erano gravemente incoerenti con i fatti». Zhao ha presentato la sua cronologia dei fatti, che ricalca quella diffusa a maggio da Wu Zunyou, capo epidemiologo del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc). Secondo il portavoce di Pechino, il 3 gennaio la Cina ha riferito dell'epidemia all'Oms e ai Paesi membri quando ancora non aveva capito quale patogeno l'avesse causata e si parlava di «polmonite di origini sconosciute». Poi, il 7 gennaio, il Cdc cinese ha isolato con successo il nuovo ceppo di coronavirus e il 9 gennaio lo ha riferito all'Oms e ad altri paesi dopo una revisione da parte di esperti; il 12 gennaio, la Cina ha condiviso la sequenza genetica del virus con l'Oms e il mondo. «La risposta del coronavirus in Cina è aperta al mondo, con dati e fatti chiari che possono resistere alla prova del tempo e della storia», ha detto Zhao. Un calendario che non convince. La presenza del Coronavirus a Wuhan è stata mappata una prima volta il 27 dicembre 2019 da Vision Medicals, un centro privato cinese, e poi ancora da altri laboratori, come il centro statale per le malattie infettive. Ma niente è trapelato. Bisogna aspettare l'11 gennaio quando lo scienziato di Shangai, Zhang Yongzhen, decide di pubblicarle sul sito virological.org. Solo a quel punto anche gli altri laboratori sono costretti a rendere note le sequenze del genoma. Era il 12 gennaio e il primo caso di infezione non risaliva all'8 dicembre, come affermava Pechino, ma almeno al 17 novembre. Tanto è vero che fino al 21 gennaio si parlava di un virus misterioso che provocava febbre, tosse e polmonite. Dal momento in cui il virus è stato decodificato per la prima volta, il 2 gennaio, al momento in cui l'Oms ha dichiarato l'emergenza mondiale, il 30 gennaio, l'epidemia era già cresciuta più di 100 volte. L'Organizzazione mondiale della Sanità, insomma, era stata tenuta all'oscuro e, secondo quanto emerge dai documenti, non avrebbe coperto la Cina. Resta il fatto che l'Oms, il cui leader, Tedros Adhanom Ghebreyesus, è stato imposto da Pechino nel 2017, ha cercato far apparire la Cina come un campione di trasparenza e di collaborazione. E lo avrebbe fatto, secondo alcuni, solo per poter ottenere maggiori informazioni sul virus. D'altronde, l'Oms ha elogiato gli scienziati cinesi per aver svolto un ottimo lavoro, nonostante l'omertà dimostrata.

Il portavoce del ministero

degli Esteri cinese ha comunque ribadito che Pechino ha mantenuto una stretta comunicazione e cooperazione con l'Oms e che continuerà a sostenere l'Organizzazione nello svolgimento del suo importante ruolo contro il Covid-19.

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