Lampedusa Il barcone grigio in legno è stracolmo di una variegata umanità, che si sbraccia nel tentativo di attirare l'attenzione. Per fortuna il mare è liscio come l'olio appena a quattro miglia dall'isola di Lampedusa, ultimo lembo d'Italia. Il pericolo è che il carico di migranti partito dalla Libia si sposti da un lato all'arrivo dei soccorritori facendo affondare l'imbarcazione di fortuna. Quando arriva la motovedetta 327 della Guardia costiera il mediatore culturale della costola dell'Onu per le migrazioni, previsto a bordo, urla come un ossesso di mantenere la calma e non muoversi per evitare il peggio. Uno dei membri dell'equipaggio, che lo ha fatto mille volte, lancia una cima per avvicinare piano piano il barcone. Gli altri in tuta bianca di protezione sono schierati sul fianco con il soccorritore marittimo, in muta arancione, elmetto, maschera e pinne pronto a tuffarsi se i migranti cadessero in acqua.
Il soccorso di 134 persone è avvenuto venerdì mattina, uno dei 55 dal 24 aprile a ieri, solo della Guardia costiera che sul fronte del mare di Lampedusa ha portato a terra nell'ultima settimana una media di 415 persone al giorno comprese donne e bambini.
Non basta per i talebani dell'accoglienza di Sea watch, l'Ong del mare, che attacca a testa bassa. Su twitter gli estremisti teutonici denunciano un «respingimento illegale» di migranti verso la Libia ordinato addirittura dall'Italia. «La nave mercantile Grimstad ha soccorso un'imbarcazione in difficoltà con circa 30 persone avvistate sabato da Seabird (l'aereo delle Ong del mare nda) - sostiene Sea watch -. Contattato via radio Grimstad ha detto che riporterà le persone in Libia su indicazioni dell'MRCC di Roma (il comando dei soccorsi della Guardia costiera nda). È in corso una gravissima violazione del diritto internazionale» .
La «macchina da guerra» delle Ong, grazie al volano dei social, prova a montare l'ennesimo caso con l'obiettivo di colpire il governo italiano. Peccato che la realtà dei fatti sia ben diversa, come spiega la Guardia costiera in una nota. «La richiesta di soccorso è stata lanciata dai migranti a circa 50 miglia dalle coste libiche (all'interno dell'area di responsabilità SAR della Libia), pertanto, le operazioni di salvataggio e la loro conclusione, sono avvenute sotto la responsabilità e il coordinamento della Guardia Costiera» di Tripoli si legge nel comunicato da Roma. I libici non hanno mai chiesto supporto all'Italia nell'operazione. Il capitano della nave che batte bandiera della Bahamas, coordinandosi con l'armatore, «ha proseguito la navigazione per raggiungere la rada antistante il terminal di Zueitina (Libia) dove un'unità della guardia costiera avrebbe effettuato il trasbordo dei migranti». La centrale operativa di Roma è sempre rimasta in contatto con il mercantile, ma «ribadisce di non aver mai dato indicazioni, o meglio ancora ordini, al comando della nave di raggiungere, dopo aver effettuato il soccorso dei migranti, le coste della Libia».
Life support, l'unità di Emergncy, ha imbarcato 35 migranti in acque internazionali, ma nell'area di ricerca e soccorso maltese. A parte due siriani e un palestinese, tutti gli altri arrivano dal Bangladesh dove non c'è alcuna guerra. Albert Mayordomo di Emergency protesta, come sempre: «Le autorità italiane ci hanno assegnato il porto di Livorno per lo sbarco, a 4 giorni e quasi 670 miglia nautiche di distanza dal luogo in cui è avvenuto il salvataggio. L'assegnazione di porti lontani non rispetta il diritto internazionale».
Le Ong vogliono sostituirsi agli Stati, ma in un mondo normale dovrebbe bastare la Guardia costiera, che sulla prima linea di Lampedusa è impegnata 24 ore al giorno con uscite notturne fino a 40 miglia dall'isola. E ogni volta è un'avventura. Venerdì due barchini in ferro sono stati avvistati dalla motovedetta 306 in mezzo la mare, nel buio pesto, dopo l'allarme lanciato da pescherecci tunisini, che forse fungono da nave madre. «I migranti usano la debole luce dei telefonini per segnalare la loro presenza su pericolose barche in ferro» spiega il luogotenente Giuliano Fadda, al timone. La prima «bara» metallica, che galleggia a malapena, è zeppa con 34 migranti. «Prima i bambini, prima ai bambini» urla l'equipaggio della Guardia costiera. Tutti subsahariani cercano, d'istinto, di dare l'assalto alla motovedetta. Gli uomini in tuta bianca continuano a issare a bordo i migranti a forza di braccia, gridando in inglese «uno ad uno», altrimenti il barchino potrebbe ribaltarsi provocando una tragedia. La motovedetta rientra a Lampedusa alle 3.31 di notte dopo aver soccorso una seconda «bara» di ferro. George Michel del Gambia racconta: «Ho pagato 400 euro in dinari libici per imbarcarmi a Sfax. Ci avete trovati dopo due giorni in mare». Tre donne esauste con i bambini neonati avvolti nei teli termici intonano un canto tribale di ringraziamento.
Forse nessuno scappa da paesi in guerra, ma la Guardia costiera non deve chiedere il passaporto a chi è in pericolo in mezzo al mare. Una volta in salvo, però, bisognerebbe essere più decisi e rimandare a casa chi non ha diritto di restare in Italia.
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