Ora il governo esce dal letargo. Si parte da tagli alle pensioni

Gualtieri dice stop a quota 100: "Terminerà nel 2021". Ipotesi di uscite flessibili a 62 (per i gravosi) e 64 anni

Ora il governo esce dal letargo. Si parte da tagli alle pensioni

Da oggi il governo esce dal letargo elettorale e dovrà mettersi al lavoro per trovare soluzioni concrete sia sull'impostazione della Nadef (sarà presentata il 28 o 29 settembre) e della legge di Bilancio 2021 che, soprattutto, sulla riforma delle pensioni vista la scadenza di quota 100 alla fine dell'anno prossimo. Si tratta di un capitolo, quest'ultimo, fondamentale per il via libera europeo al Piano di ripresa in quanto Bruxelles non intende finanziare un Paese che cerca escamotage per facilitare le uscite dal mondo del lavoro. Allo stesso modo, lo scalone che si prefigura dai 62 anni minimi di quota 100 ai 67 anni della Fornero è un problema.

Ieri il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri ha spiegato, nel corso dell'intervento al Cortile di Francesco ad Assisi, che «quota 100 non è stato, secondo me, un utilizzo saggio delle risorse che sono state concentrate su una platea molto ristretta», ricordando che «fortunatamente è costata meno del previsto». E al tavolo guidato dal ministero del Lavoro, che si riunirà venerdì prossimo, sono al vaglio alcune ipotesi per rendere più sostenibile, il sistema pensionistico. Tra le opzioni sotto esame, ha riferito Il Sole 24 Ore, c'è anche la «doppia flessibilità in uscita». L'ipotesi prevede il pensionamento anticipato di chi svolge lavori gravosi o usuranti a 62 (o 63) anni con 36-37 anni di contributi con penalizzazioni modeste, tenendo comunque in piedi le opzioni alternative dell'Ape sociale in versione potenziata e strutturale. Per gli altri lavoratori la soglia minima di uscita verrebbe fissata a 64 anni d'età (63 anni sarebbe invece la soglia minima su cui i sindacati cercano di trattare) e almeno 37 (o 38) anni di contribuzione. La penalizzazione, in questo caso, consisterebbe nel metodo di calcolo contributivo del trattamento (escludendo così la parte retributiva per chi ha iniziato a lavorare prima del 1996) e che sarebbe stimato in una decurtazione del 2,8-3% per ogni anno d'anticipo rispetto ai 67 anni.

I sindacati preferirebbero «quota 41» per tutti i lavoratori, ossia l'uscita automatica con 41 anni di contributi che però costerebbe circa 12 miliardi, ben più degli 8 miliardi circa stanziati annualmente per quota 100. Considerando anche Ape social e Opzione Donna (sui quali si continua a cercare un punto d'incontro con il ministro Catalfo) la spesa per il capitolo della riforma pensionistica nel 2022 potrebbe attestarsi attorno ai 5-6 miliardi di euro complessivi.

Il problema principale è che il Tesoro, purtroppo, non ha dispone di risorse sufficienti per pianificare queste modifiche, tant'è che nella manovra 2021, che dovrebbe costare tra i 25 e i 30 miliardi, si pensa di inserire tra le entrate anche la prima tranche di aiuti del Recovery Fund (15-20 miliardi di euro). La riforma fiscale, basata su un taglio del prelievo Irpef sul lavoro e sull'assegno unico familiare, potrà avere l'ok Ue perché a costo zero (i 5 miliardi saranno reperiti con il taglio ai sussidi). Idem per la riforma degli ammortizzatori («Investiremo sulle politiche attive che sono deficitarie, mentre la cig generalizzata sarà solo per i settori più in difficoltà», ha detto Gualtieri).

È difficile, però, che la Commissione possa approvare spese per pensioni anticipate in un Paese che nel 2020 dovrebbe registrare un calo del Pil del 9% nonostante il titolare del Tesoro abbia promesso per il terzo trimestre un rimbalzo «impetuoso».

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