La nuova Ilva che il governo sta progettando non contempla il passaggio all'idrogeno e nascerà in 7-13 anni. Secondo indiscrezioni raccolte da il Giornale, l'idea è quella di sostituire il carbone con il gas e di traghettare rapidamente il sito industriale verso una fonte meno inquinante con l'uso combinato di gas e forni elettrici. L'idrogeno, se mai arriverà, non è al momento nel piano e potrebbe essere uno sviluppo futuro, ma assolutamente secondario in questo momento.
Dopo la sentenza bomba della Corte d'Assise che punta alla confisca dell'area a caldo del sito tarantino, e quindi alla sua morte industriale, la riconversione prevista è dunque questa, ma è appesa alla sentenza del Consiglio di Stato. Lo stesso Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, ha detto ieri che il governo «deve aspettare la sentenza che arriva del Consiglio di Stato e capire cosa succede. Io - ha precisato - ho fatto un piano per togliere il carbone all'altoforno, elettrificarlo e passare subito al gas per abbattere la CO2 del 30%, sperando di essere velocissimi sull'ulteriore passaggio all'idrogeno. Se però non si potrà andare avanti, è ovvio che questa cosa la dovrò fermare». A livello formale, dunque, il governo tira il freno in attesa del nuovo verdetto, «ma punta a portare avanti la trasformazione green di Taranto spiega una fonte per convincere il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, che ha presentato ricorso al Consiglio di Stato, a ritirare il proprio esposto in cambio della promessa di una seria riconversione verde».
Alla finestra ci sono molte società interessate a fare parte di questo progetto, ma ancora nessuna è stata selezionata formalmente dal governo. In prima linea ci sono Fincantieri con Paul Wurth Italia (Pwi), ma interessate al progetto sono anche Danieli, Saipem, Leonardo.
Una strada irta di ostacoli anche alla luce del fatto che diversi fornitori storici di Ilva denunciano (nuovamente) di non essere stati pagati da Arcelor e secondo indiscrezioni «la società avrebbe in sospeso fatture miliardarie, tra 1 e 2 miliardi. Inoltre la cassa, e in particolare i 400 milioni arrivati dal nuovo socio pubblico Invitalia sarebbero già evaporati».
Come se non bastasse, ieri Acciaierie d'Italia ha comunicato ai sindacali e a Confindustria l'intenzione di ricorrere, dal 28 giugno e per un periodo presumibile di 12 settimane, alla Cassa integrazione ordinaria (Cigo) per un massimo di circa 4mila dipendenti (distinti tra quadri, impiegati e operai) dello stabilimento di Taranto. L'azienda spiega, in una nota a firma del dirigente Arturo Ferrucci, che gli effetti dell'emergenza epidemiologica «continuano ad avere riflessi in termini di consolidamento degli ordinativi e stabilità dei volumi produttivi.
Nonostante nel generale contesto di mercato siano oggi percepibili segnali ottimistici nella crescente e maggiormente stabile domanda di acciaio, la società non è nelle condizioni di assicurare la totale e immediata ripresa in esercizio di tutti gli impianti di produzione e di completo assorbimento della forza lavoro».Una situazione appesa a un filo che dovrebbe sciogliersi a breve. Pare infatti che il Consiglio di Stato possa esprimersi sulla richiesta di stop agli impianti di Taranto già la prossima settimana.
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