Il Pd ora liscia il pelo a Calenda e dimentica gli insulti

Roberto Gualtieri in vista del ballottaggio per il Campidoglio dice: "Mi aspetto l'appoggio di Calenda". Ma fino a poco fa si sono coperti di insulti

Il Pd ora liscia il pelo a Calenda e dimentica gli insulti

Dice di aspettarsi una sorta di appoggio "naturale" di Carlo Calenda, l'ex ministro Roberto Gualtieri, che sarà impegnato nel ballottaggio per il Comune di Roma contro il candidato della coalizione di centrodestra Enrico Michetti.

E lo dice facendo appello alla vicinanza ideologica tra il suo profilo e quello del leader di Azione, vero ago della bilancia nella corsa al Campidoglio: "Calenda? Non l'ho ancora sentito dopo il voto, mi aspetto che sosterrà il candidato progressista, sarebbe strano il contrario", dice Gualtieri.

In realtà però, negli equilibri degli schieramenti romani di naturale c'è ben poco. Dal duello serrato Pd-M5S contrariamente a quanto accade al governo del Paese e nel resto d'Italia (persino in Regione Lazio il fronte giallorosso è compatto, tranne che a Roma), al veleno a distanza tra il sindaco uscente Virginia Raggi e la fronda più aperturista del Movimento capitanata da Roberta Lombardi.

E non fa eccezione nemmeno lo scontro tra Calenda e il Pd, che ora vorrebbe far passare come ovvia la convergenza in vista del ballottaggio quando invece la campagna elettorale è stata caratterizzata dai continui scontri (talvolta esilaranti) proprio tra Calenda e i vertici dei dem.

Come Goffredo Bettini, uno degli uomini forti del centrosinistra romano, che meno di una settimana, in risposta alle bordate di Calenda, diceva: "Invito le mie amiche e i miei amici - aggiunge - che mi hanno seguito nelle mie battaglie su Roma e che mi stimano, di non votarlo. Anche perché domenica per lui sarà tutto finito". E invece altroché che tutto finito. Per Calenda la partita è appena iniziata.

E che dire del senatore Pd, Bruno Astorre, altro protagonista delle bagarre dialettiche con Calenda, definito uno con la "sindrome compulsivo-ossessiva" nei suoi confronti: "Io non lo conosco, non ci ho mai parlato - disse -. L’ho visto solo una volta in 'call', quando, su impulso di Nicola Zingaretti, gli ho chiesto umilmente e semplicemente di partecipare alle primarie a Roma. Da allora gli è partita la 'ciavatta' e non perde un momento per insultare".

Celeberrimo, poi, lo scambio di insulti con l'ex ministro dem Francesco Boccia, che Calenda definì inetto in diretta tv, e col suo antagonista che rispose: "È molto nervoso per Roma e la sua scarsa educazione non gli consente di esprimersi meglio. Continuerò a ignorarlo". Peccato che ora non potrà più farlo e anzi dovrà andare ad elemosinare i suoi voti.

Anche l'ex segretario Nicola Zingaretti si è abbandonato ai commenti sul modo di fare "fumantino" di Calenda: "Lo sento - confessò - anche se non sembra perché ogni volta che apre bocca mi insulta, eppure con lui ho un rapporto civile". Ecco, magari potrà tornare utile. Molto meno il rapporto con un altro ex ministro, Valeria Fedeli, che commentò gli apprezzamenti fatti da Giancarlo Giorgetti alle capacità di Calenda con un tranciante "La Lega scende in campo a Roma per Calenda per riportare di nuovo la città a destra". Ma come? Per la Fedeli Calenda è di destra mentre per Gualtieri è naturale che appoggi un progressista?

Insomma, la sinistra fa appello all'ideologia a targhe alterne. Quando serve il dissidente Calenda torna "uno dei nostri", quando mette i bastoni tra le ruote è un allegato della Lega.

Per la base militante, invece, è un amico degli industriali, come testimonia il livore social scatenato contro il giovane candidato di Azione, Roman Pastore, per colpa della sua foto con al polso l'orologio Audemars Piguet ereditato dal padre defunto.

La strategia stavolta però sembra non dare dividendi, visto che il messaggio di Calenda al Pd sa di beffa: "O me o i 5 Stelle". Solo che per Gualtieri sono irrinunciabili entrambi.

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