«La politica monetaria da sola non basta, l'Unione europea deve fare di più sul piano fiscale comune per superare il problema dell'inflazione». Questo è il pensiero dell'economista Marcello Messori, docente dell'Università Luiss Guido Carli. Lui, tra l'altro, è stato proprio uno degli economisti interpellati dal Financial Times per il sondaggio che ha fatto molto discutere nei giorni scorsi e dal quale emerge un'Italia «anello debole» dell'Unione, dopo che la Banca centrale europea ha varato una politica di forte rialzo dei tassi d'interesse che sembra dover proseguire ancora nei prossimi mesi.
Professor Messori, l'Italia è davvero così a rischio come dicono?
«Se i tassi di interesse fossero portati a un livello sufficiente da raggiungere l'obiettivo dell'inflazione al 2% nel corso del 2023, io credo che potrebbe profilarsi una recessione pesante nell'area euro e, a quel punto, i Paesi ad alto debito ne soffrirebbero».
Allora anche lei la pensa come la maggior parte degli economisti, ossia che il nostro Paese è l'anello debole
«Penso che la politica monetaria non debba essere lasciata sola, ma essere combinata con un'adeguata politica fiscale europea così da superare il problema dell'inflazione senza una restrizione monetaria eccessiva. L'eccesso di inflazione è nata dal lato dell'offerta e non dal lato della domanda. Una banca centrale può stimolare o rallentare la domanda, ma non può agire direttamente sull'offerta: penso quindi che andrebbero rinforzati strumenti di politica fiscale comune, come è stato fatto con NextGeneration Eu, per far sì che le strozzature nelle catene di fornitura e sul fronte energetico, indotte dalla pandemia e aggravate dalla guerra, possano essere superate».
D'accordo, ma lei non pensa che la Bce si sia mossa in ritardo e con rialzi troppo ravvicinati?
«Non condivido questa tesi. Per quanto appena detto, era molto difficile intervenire in modo preventivo sull'inflazione con una restrizione monetaria; inoltre, si è a lungo ritenuto che si trattasse di un fenomeno temporaneo, lascito della pandemia. Poi è scoppiata la guerra che ha aggravato le strozzature sul lato dell'offerta e ha prodotto un ulteriore shock sull'energia. Solo dopo l'invasione dell'Ucraina si è superata l'illusione che l'eccesso di inflazione fosse temporaneo».
L'Italia negli ultimi due anni ha battuto tutte le stime di crescita, più di altri Paesi paragonabili. Secondo lei, c'è qualcosa di strutturale in tutto questo?
«È stata francamente una sorpresa che la crescita abbia retto non solo nel 2021, ma anche nei primi tre trimestri del 2022. Quindi, pur non avendo ancora un'evidenza empirica robusta, ritengo che vi siano state positive modifiche strutturali e che non si tratti solo di un rimbalzo».
Quindi non si è trattato solo di un exploit momentaneo?
«Io ho la speranza che vi sia stato un irrobustimento dell'apparato produttivo, ma non ci sono ancora dati sufficienti per affermarlo con certezza. Nel 2020 sono stati fatti enormi trasferimenti a imprese e famiglie, poi continuati nel 2021. Nel breve periodo, dopo il blocco pandemico, tali trasferimenti (presenti anche in altri Paesi e inevitabili per contenere i costi economici e sociali) hanno sostenuto la crescita italiana.
Tuttavia, la sequenza di shock che abbiamo vissuto dalla crisi finanziaria del 2008 a pochi mesi fa potrebbe aver attivato una ristrutturazione positiva di parti del nostro apparato produttivo. Abbiamo indizi in questo senso, anche se mancano per ora indicatori definitivi».
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