Milano «E adesso smettiamola di parlare inglese». Questa è la provocazione che, all'indomani del referendum sulla Brexit, lancia Roberto Mordacci, preside della facoltà di Filosofia all'università Vita e Salute dell'ospedale San Raffaele. Anche sul piano culturale, dice Mordacci, può accadere che la vera sconfitta del referendum non sia l'Europa ma la Gran Bretagna.
Professore, l'Europa non è solo una entità economica ma un luogo di culture. Chi ha più da rimetterci, se la patria di Shakespeare torna a essere un'isola?
«Ci perdono di più loro, non c'è dubbio. Perché tra le sue tante conseguenze questa scelta farà si che saremo tutti invogliati a essere meno dipendenti dall'inglese: sia nella vita di tutti i giorni, sia negli ambiti scientifici, sia nelle attività istituzionali dell'Unione. Che senso ha continuare a usare l'inglese a Bruxelles se nessuno dei paesi che fanno parte dell'Europa ha più l'inglese come lingua madre?»
Ma ormai non è tardi per sostituire l'inglese come lingua neutra globalizzata?
«L'inglese non lo dimenticheremo, perché ci serve a comunicare con la Cina, l'India, gli Stati Uniti. Ma non è tardi per ridare centralità alle lingue storiche dell'Europa continentale. Tutta questa facilità nell'usare l'inglese ha causato una sottovalutazione delle capacità che abbiamo di comunicare tra di noi con i nostri linguaggi. Oggi se incontriamo dei francesi ci sembra normale parlare in inglese. Trent'anni fa non sarebbe successo. E, nel mio campo, trovo surreale che ci siano riviste di filosofia che accettano solo testi in inglese. Di fatto, la colonizzazione linguistica ha comportato anche una colonizzazione culturale».
Adesso, caso unico nella storia, i colonizzatori abbandonano i colonizzati.
«E questa per l'Europa può essere una grande opportunità. Lo è sul piano politico, perché proprio la Gran Bretagna era la zavorra che ha impedito all'Unione di dotarsi di una propria politica estera e di sicurezza. Adesso che questa zavorra non c'è più, possiamo ridisegnare l'Unione in modo più libero e avanzato. E lo è sul piano del linguaggio.
Nelle nostre scuole dobbiamo tornare a insegnare il tedesco e il francese, con la stessa dignità dell'inglese, e lavorare perché lo stesso accada per l'italiano all'estero. C'è stata un'epoca non remota in cui per le classi colte tedesche parlare italiano era un vanto».
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