Non usa parole fumose: «Dobbiamo armare l'Ucraina». Anzi va oltre: «Noi nel periodo '43-'45 abbiamo avuto più di loro: non solo i fucili e i cannoni, ma anche i soldati stranieri, americani compresi, anche se naturalmente non solo loro».
Frange della sinistra radicale delegittimano Enrico Letta e lo contestano, Sergio Cofferati si schiera senza se e senza ma dalla parte di Kiev: «La pace senza democrazia e libertà è solo un'evocazione».
Onorevole Cofferati...
«Non sono più onorevole, ho concluso il mio mandato al Parlamento europeo nel 2019 e non ho più incarichi. Sono stato fra i promotori di Sinistra Italiana ma non mi riconosco più in quell'esperienza e non appartengo più ad alcun partito. Sono un ex in molte cose. Diciamo che penso di essere di sinistra».
Certo, lei è stato uno dei leader più popolari e ha riempito le piazze. Oggi siamo ancora agli insulti al segretario del Pd.
«Letta lavora bene. Francamente non capisco questo astio e le frasi offensive contro di lui».
Non c'è un certo imbarazzo a schierarsi contro Mosca e con la Nato?
«C'è un Paese aggredito e noi dobbiamo stare con loro».
Come?
«In tutti i modi. Dobbiamo portare la nostra solidarietà: il cibo, i vestiti, le medicine. Ma non solo. Dobbiamo andare avanti con le sanzioni. Sempre più efficaci e sempre più mirate e da questo punto di vista l'Europa deve avere una voce sola».
Quel che si è fatto non basta?
«È un passo in avanti rispetto all'inerzia precedente, ma il cammino da compiere è ancora lungo. E questa è l'occasione giusta per promuovere una politica estera europea e per dotare la Ue di un esercito. Ma per questo ci vorranno anni».
Intanto che si fa?
«Sanzioni e armi agli ucraini».
Lei è uno dei punti di riferimento della sinistra radicale. La stessa che manifesta contro l'Occidente.
«No, guardi, lei sbaglia indirizzo. Io nel vecchio Pci ho sempre avuto come bussola Giorgio Amendola e il suo riformismo; naturalmente, nel tempo hanno puntato il dito contro di me dicendomi che mi ero spostato di qua e di là, ma io sono sempre rimasto ancorato a quel pensiero. Non ci può essere pace senza democrazia e senza libertà. Altrimenti la pace sarebbe solo una frase vuota. Se poi il pacifismo porta a uccidere o a veder morire i bambini, mi spiace ma allora io sto da un'altra parte. Questo modo di ragionare è inaccettabile, è un errore clamoroso».
La Nato?
«Si può non essere d'accordo con la Nato e la sua politica, ma qui le cose stanno diversamente».
E come stanno?
«Tutti devono contribuire alla lotta per la libertà di Kiev. Quindi non capisco le polemiche contro gli Usa e contro la Nato».
Puntualmente rispunta anche la solita querelle sulla Brigata Ebraica.
«Gli ebrei hanno subito nel corso della Seconda guerra mondiale uno scempio senza precedenti nel cammino dell'umanità. Francamente queste discussioni mi paiono fuori dal mondo. Sarebbe invece il caso di imparare qualcosa dagli avvenimenti».
Che cosa?
«È vero che la storia non si ripete mai uguale a se stessa però qualche considerazione si può fare».
Rispetto alla Resistenza?
«Certo: nell'ora delle celebrazioni del 25 Aprile dobbiamo dire che anche i nostri partigiani furono aiutati. Bologna per esempio fu liberata il 21 aprile da un contingente polacco. È la storia, non possiamo cavarcela con la retorica».
Oggi in Ucraina è la stessa cosa?
«Noi abbiano avuto di più, perché gli Alleati non ci davano solo le armi, ma anche i soldati. E molti giovani hanno dato la vita per il nostro Paese. I polacchi, gli americani, i neozelandesi e via elencando. Dobbiamo garantire assistenza all'Ucraina e accompagnarla in questa sfida per la democrazia».
C'è chi sostiene che sia meglio arrendersi che morire.
Cosa replica a questa obiezione?«Mi spiace ma le cose non funzionano così. Senza democrazia gli ucraini non avrebbero garanzie per il loro futuro. Il 25 aprile è la festa della libertà. La nostra, ma anche la loro».
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