Padoan plaude al progetto di rilancio. Ma con Renzi è rischio cortocircuito

Il ministro dell'Economia ha mal digerito la regia del premier sul dossier Mps

Padoan plaude al progetto di rilancio. Ma con Renzi è rischio cortocircuito

«Il governo prende atto con grande soddisfazione» del piano di Mps. Una «operazione di mercato che consentirà di rafforzare la posizione patrimoniale» della banca e di liberarla completamente dai crediti in sofferenza». Parola del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan che in una nota benedice il rilancio di Mps, che potrà così «sviluppare un solido piano industriale» e quindi aumentare «il sostegno all'economia reale» facendo «credito a famiglie e imprese».

Fino a qui la presa di posizione ufficiale dell'esecutivo, all'interno del quale rimane però alto il rischio di un cortocircuito tra lo stesso Padoan e il premier Matteo Renzi. Il numero uno di via XX Settembre è infatti sempre più in un angolo e ha mal digerito il modo con cui Renzi ha gestito il dossier senese. Il presidente del Consiglio premeva infatti da tempo per una soluzione di mercato, facendo il tifo per le banche d'affari, in particolare per Jp Morgan e Mediobanca che sono entrate in partita per fare da capofila al consorzio di garanzia per la ricapitalizzazione di Mps.

Emblematica l'interrogazione del presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta allo stesso Padoan, affinché vengano chiariti i rapporti tra il suo ministero e Jp Morgan, la banca d'affari che, scrive Brunetta, «ha fiutato l'enorme affanno del governo sui dossier bancari e ne approfitta».

Che Renzi abbia insistito per una soluzione di mercato ben si capisce. Ottobre non è lontano e sul referendum per la riforma costituzionale si gioca buona parte del suo futuro. Un ennesimo aiuto a banche in difficoltà con i soldi pubblici, e poi in questo caso a Mps considerata storicamente «aggrovigliata» con il Pd (non solo locale), lo esporrebbe a pesanti ripercussioni in termini di voti. Cosa resta di tutta la partita giocata invece da Padoan in Europa per una soluzione pubblica compatibile con le regole comunitarie sui salvataggi bancari? Si dirà che nulla è andato perduto e che l'ombrello pubblico è sempre pronto per essere aperto qualora il piano Renzi non andasse in porto. Ma le cose non stanno realmente così. Padoan non si fida infatti della soluzione «privata» abbracciata ieri sera da Mps (sebbene fino all'altro giorno abbia professato fede incrollabile nel mercato), tanto che ha da subito cercato di tessere una rete in Europa per percorrere una via differente da quella del premier. E nel suo cammino ha fatto proseliti importanti.

La commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager, pur avendo affermato che non vedeva rischi per la stabilità finanziaria italiana che giustificassero deroghe, aveva poi detto che l'accordo era vicino. Una intesa su cui si erano espressi positivamente Francia, Germania e il capo del Fmi Christine Lagarde. E soprattutto il presidente della Bce, Mario Draghi, aveva benedetto il sostegno pubblico alle banche confermando il diritto degli Stati a intervenire in casi eccezionali.

Le trattative tra Roma e Bruxelles si sono concentrate sul burden sharing, la condivisione dei costi tra azionisti e obbligazionisti subordinati nel caso di salvataggio delle banche. Con l'Ue disposta a sospendere il principio per gli investitori non istituzionali e Roma che voleva una delega per tutti gli investitori.

Sull'affaire Mps si potrebbe giocare anche il futuro del ministro. Non a caso Renzi avrebbe già pronto il nome di chi potrebbe prendere il suo posto: l'attuale ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, sponsorizzato da Confindustria.

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