Padoan si arrende: addio alla spending review

Letta prevedeva 34 miliardi di risparmi nel 2016. Il ministro ne ha realizzati 25 in due anni

Padoan si arrende: addio alla spending review

Roma In questa legislatura ci sono stati (per ora) due governi. Il primo guidato da Enrico Letta, all'epoca vice segretario del Pd. Il secondo dal segretario del Pd, Matteo Renzi.Il primo governo aveva ipotizzato un freno alla spesa pubblica, attraverso la spending review, con tagli per 7 miliardi nel 2014, 18 miliardi nel 2015, 34 miliardi (anzi, 33,9) nel 2016. Il secondo governo Pd di questa legislatura, invece, si ferma a 25 «ed è difficile andare oltre», spiega ora Pier Carlo Padoan.

Il primo governo aveva inserito, con il via libera del ministro dell'Economia dell'epoca, Fabrizio Saccomanni, quelle cifre nei conti tendenziali dello Stato; con l'impegno a Bruxelles che se non fosse stato in grado di rispettare quei risparmi avrebbe fatto scattare le clausole di salvaguardia: aumento dell'Iva e della benzina. Il secondo, sfruttando al massimo la flessibilità di bilancio riconosciuta dalla Commissione (e anche oltre), punta a non ridurre la spesa come previsto dal predecessore («nemmeno mago Merlino ci riuscirebbe», ha detto in Parlamento il presidente del Consiglio) e contestualmente a non far scattare le clausole di salvaguardia.

Fonti del ministero dell'Economia ricordano che, tra il 2009 e il 2014, la spesa pubblica italiana è cresciuta soltanto dell'1,4 per cento: il valore più basso nel confronto con la media Ue e con le principali economie del mondo. Fra il 2009 e il 2014 si sono alternati cinque ministri dell'Economia: Giulio Tremonti, Mario Monti, Vittorio Grilli, Fabrizio Saccomanni e Pier Carlo Padoan. Tutt'e cinque avevano un commissario «pro tempore» alla spending review. E tutt'e cinque hanno presentato come «revisione strutturale della spesa» quelli che sono stati in realtà «tagli orizzontali» alla Pubblica amministrazione, ministeri in primis.

Ora, però, i nodi vengono al pettine con l'elaborazione del Documento economia e finanza (Def). Entro il 15 aprile il governo deve inviarlo a Bruxelles e prima deve anche indicare come correggere eventuali squilibri dei conti di quest'anno. Quest'ultimi verranno, verosimilmente, coperti attraverso il congelamento delle spese non ancora impegnate: nella sostanza, un blocco della spesa per il 2016.Ma il problema sarà la definizione del profilo di finanza pubblica per il 2017. Le difficoltà per il governo arriveranno dal quadro macro economico di riferimento. Al ministero dell'Economia stanno rivedendo le stime del Pil. Difficilmente potrà essere rispettata la previsione dell'1,6%, a causa della deflazione (riduzione dei prezzi).

E proprio la scarsa reattività della crescita unita alla bassa inflazione del 2015 sono alla base della riduzione dello 0,8% del costo del lavoro in Italia nel 2015: il dato più basso della Ue, che ha fatto registrare - invece - un aumento del costo medio del lavoro dell'1,3 per cento.

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