Guardrail fatiscenti? Il procuratore capo di Venezia ha predisposto una perizia nel tratto dell'incidente del bus. Ma basta poco per capire che le protezioni non fossero adeguate. Arrugginite, deteriorate, fuori norma da parecchio tempo: e con una manutenzione totalmente assente, come testimoniano le immagini di Street View degli ultimi 15 anni.
Il problema è che gli stessi problemi del tratto della tragedia di martedì si replicano per 20mila chilometri di autostrade, escluse statali e provinciali. Le stesse che percorriamo per andare al lavoro e in vacanza. «L'Italia è piena di barriere inadeguate - spiega Pietro Gimelli, direttore generale Unicmi, l'unione nazionale delle industrie delle costruzioni metalliche - Non solo i chilometri dichiarati da Anas e Autostrade. Il problema è che le competenze sulle strade sono così frazionate tra enti che il rimpallo di responsabilità è una costante».
E infatti il copione si replica anche stavolta. «La città di Venezia ha ereditato il cavalcavia dalla Stato, qualcuno potrebbe andare al Ministero a chiedere come mai questo progetto è fatto così» accusa l'assessore alla Mobilità di Venezia Renato Boraso. A dire che le protezioni ai lati delle nostre strade non vanno bene era stato, nel 2019, anche il gip di Avellino Fabrizio Ciccone. Mentre si stava occupando delle indagini sul bus precipitato del viadotto Acqualonga e sulla morte di 40 passeggeri, ha voluto lanciare un allarme a tutto il Paese: «La maggior parte delle barriere a bordo ponte delle autostrade italiane - aveva scritto a pagina 27 della sua ordinanza - sono da inserire nel gruppo di priorità numero uno, in cui è massima l'urgenza di intervento». Ma le cose non sembrano poi così diverse oggi.
La legge c'è. E ci sono anche i soldi stanziati per i lavori di ammodernamento del varco, 6,5 milioni di euro. Quel pezzettino di barriera aspettava di essere messo a norma (come altri 20mila chilometri di protezioni): la legge nel corso degli anni ha regolato la progettazione, la validazione e l'installazione delle barriere stradali di sicurezza attraverso diversi decreti. Nel 1992 con un decreto ministeriale e nel 2004 con diverse circolari. E poi nel 2011 è arrivato il regolamento Ue stabilendo parametri uguali per tutti: sui materiali, sulle misure, sulle distanze.
Fa male dirlo ora ma «se su quel varco ci fosse stata una barriera costruita con i parametri di oggi, quell'incidente non sarebbe avvenuto» constata Gimelli - Ora le barriere di acciaio sono più alte, hanno due o tre fasce orizzontali e hanno una maggior solidità - spiega il presidente Unicmi - Non solo, non ci sono più buchi, nemmeno quando serve un passaggio per poter fare manutenzione. Per far passare gli addetti ai lavori si affiancano due barriere, una più avanti e una più indietro. Così è più sicuro».
La norma sugli appalti pubblici prevede anche una serie di controlli pro sicurezza che un po' di anni fa non c'era: chi realizza la barriera deve rilasciare un certificato con cui attesta la «corretta posa» e si assume la piena responsabilità del lavoro. Questo dovrebbe assicurare verifiche capillari sui materiali e sui cantieri. Ma spesso si scivola in facilonerie. Come mai? In un certo senso è l'unico modo che un produttore del settore ha per districarsi da burocrazia paludosa e lungaggini. I progetti, prima del certificato finale, vengono infatti depositati al Ministero e lì restano fermi, impilati in attesa del timbro che autorizzi a procedere. Eppure gli stanziamenti non mancano: Aspi ha investito 1,2 miliardi per ammodernare 3.
100 km di barriere e aumentare le ispezioni, Anas investirà 64 miliardi da qui al 2032 e parte di questi soldi serviranno anche ad aumentare la sicurezza.Il meccanismo appalti andrebbe oliato evitando che le soluzioni restino lettera morta. Pena la nostra sicurezza sulle strade. E la consapevolezza degli errori sempre e solo dopo la tragedia.
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