Paesi sicuri, un'altra toga fa politica

Il giudice di Palermo libera due clandestini africani: decreti rinviati alla Corte Ue

Paesi sicuri, un'altra toga fa politica
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La Cassazione dice bianco, le sezioni immigrazione - stavolta quella di Palermo - continuano a dire nero, l'esecutivo prosegue sulla strada dell'operazione Albania. Grande è la confusione sotto il cielo delle politiche migratorie, e in particolare sotto il cappello della definizione di «Paese d'origine sicuro». Ma andiamo con ordine. Della suprema corte il Giornale ha scritto ieri, raccontando come la Cassazione, a proposito di una richiesta di estradizione verso il Marocco, abbia chiarito che grava sul ricorrente spiegare perché un Paese indicato come sicuro nel caso di specie possa non esserlo. Insomma, spiega la suprema corte, se un Paese è designato come sicuro, tocca al migrante dimostrare che, per motivi oggettivi o soggettivi, non lo è, ed eventualmente spetta al giudice spiegare perché non intende allinearsi alle indicazioni fornite dall'elenco, motivando la sua scelta.

Ieri, a Palermo, la sezione immigrazione del tribunale ha bussato alla porta della Corte di Giustizia Ue, sospendendo di conseguenza il giudizio di convalida del trattenimento di due migranti, provenienti da Senegal e Ghana, che era stato disposto dal questore di Agrigento: i due sono tornati liberi non potendo il tribunale convalidare data la sospensione il trattenimento entro il termine di 48 ore. Le toghe di Palermo ricordano la sentenza della Corte Ue di inizio ottobre, che aveva sostenuto che un Paese non può definirsi sicuro se al suo interno vi sono parti di territorio che non lo sono. Per il tribunale di Palermo l'interpretazione andrebbe estesa alle categorie di persone: «Così come la Corte di Giustizia scrivono i giudici palermitani - ha ritenuto non sia possibile designare un Paese sicuro se le condizioni di sicurezza non sono rispettate per alcune parti del territorio (indipendentemente dalla circostanza se il richiedente alleghi o meno di provenire dalla parte del territorio non sicura), allo stesso modo non sembra consentito designare un Paese sicuro se tale non lo è per alcune categorie, e questo anche se il migrante non dichiari e non dimostri di essere fragile». Ecco dunque che i togati palermitani chiedono alla Corte di Giustizia Ue se la direttiva del 2013 tuttora in vigore impedisca «che un Paese terzo sia definito di origine sicuro qualora, in tale Paese, vi siano una o più categorie di persone per le quali non siano soddisfatte le condizioni sostanziali di tale designazione». Un punto che, peraltro, il presidente della sezione immigrazione, Francesco Micela, aveva già messo nero su bianco poche settimane fa in una intervista a Repubblica, spiegando: «A partire dall'ultima direttiva del 2013 è possibile definire un territorio sicuro solo se lo è in modo «generale e uniforme».

Ma se il muro dei giudici è fermo, anche il governo non cambia posizione. È di ieri la notizia della nuova traversata della nave Libra verso il Paese delle Aquile, per portare nel centro di Gjader per la procedura accelerata appena 8 migranti. Numeri risibili, verrebbe da pensare, se non si guardasse all'altra faccia della medaglia. Perché, con l'operazione Albania, qualcosa è cambiato, eccome. Se prima la stragrande maggioranza degli stranieri che arrivavano in Italia si presentava senza documenti, ora c'è un significativo aumento di chi entra nel Paese con carta d'identità o passaporto in mano. Unico modo a parte la fideiussione bancaria che consente a chi arriva da un Paese considerato sicuro di evitare la procedura accelerata alla frontiera e risparmiarsi il viaggio in Albania.

Una piccola ma significativa rivoluzione: lo straniero non è più un fantasma, ma viene immediatamente identificato, così come la sua cittadinanza, permettendo di valutare la sua domanda e, in caso di rigetto, di rimpatriarlo.

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