«Taliban Khan», soprannome di Imran, ex capitano della nazionale di cricket, populista in salsa islamica, è il candidato premier favorito nelle elezioni legislative in Pakistan, un paese dotato di arsenali nucleari. Ieri 105 milioni di pachistani si sono recati alle urne per eleggere i 342 parlamentari nazionali ed i rappresentati delle grandi province. Ottocentomila uomini fra poliziotti e militari hanno garantito la sicurezza di 85mila seggi distribuiti nel paese di 207 milioni di abitanti. La presenza massiccia dei soldati è vista come un monito dei militari, che hanno guidato a suon di golpe il paese per metà della sua storia. Non a caso il candidato preferito delle stellette è Imran Khan, 66 anni, che dopo aver abbandonato il cricket ha fondato il Movimento per la Giustizia in Pakistan. I suoi cavalli di battaglia sono la lotta alla corruzione, il welfare islamico rivolto alle classi più povere, nuovi alloggi per i giovani ed un distacco dal potente alleato americano, che «ha usato il Pakistan come pedina nella guerra al terrore». Khan è un grillino islamico, che strizza l'occhio alle formazioni jihadiste per ottenere voti e future alleanze in parlamento con i partiti estremisti. E per farlo invoca la linea dura sulla blasfemia nei confronti di Maometto e Allah, che prevede la pena di morte. Non a caso il ricco filantropo ed ex playboy finanzia una delle scuole coraniche più radicali del paese dove si è formato mullah Omar, il defunto leader guercio dei talebani e Jalaluddin Haqqani, fondatore dell'omonima rete del terrore che insanguina il vicino Afghanistan. «Taliban Khan» ha annunciato che il voto del 25 luglio sarà «l'alba di una nuova era per il Pakistan» con la sconfitta dei partiti storici del paese che fanno capo ai clan Sharif e Bhutto. La vittoria è stata predetta, non è uno scherzo, dalla terza moglie veggente di Khan.
La Lega musulmana al potere rischia di pagare la rovinosa caduta del suo ex premier, Nawaz Sharif, coinvolto nello scandalo internazionale dei Panama papers, che deve scontare dieci anni di carcere per corruzione. E soprattutto l'ostilità dei militari, che avrebbero pilotato il voto in tutti i modi con un «golpe morbido» a colpi di mazzette e attentati. Anche il giorno delle elezioni un kamikaze dell'Isis ha falciato 31 persone davanti ad un seggio a Quetta, nel sud ovest del paese, dove i talebani hanno una specie di governo clandestino in esilio. Una scia di sangue con 180 morti, compresi tre candidati, ha segnato la campagna elettorale favorendo lo slogan «legge e ordine» di Khan, che manda in brodo di giuggiole i militari. In realtà al voto hanno potuto partecipare anche dei veri e propri terroristi, esclusi appositamente dalla lista nera per le elezioni, come Muhammad Ahmad Ludhianvi o Khadim Hussain Rizvi, che vagheggia il ritorno del Califfato. Proprio i partiti religiosi estremisti potrebbero servire da stampella a Khan per conquistare la maggioranza in parlamento.
Il Partito popolare laico dei Bhutto è stato condannato dai sondaggi ad un crollo, anche se i movimenti storici pur perdendo seggi in parlamento manterranno fette di potere nelle assemblee provinciali da sempre feudi elettorali.
Abbas Nasir, ex direttore
di Dawn, una delle più importanti testate del paese ha scritto sul New York Times: «I pachistani stanno assistendo al ritorno della "democrazia tutelata con l'esercito che sostiene il nuovo partito del re» di Taliban Khan.
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