Passati ormai tre giorni dal voto del Senato, il pallottoliere che Giuseppe Conte giurava di poter muovere non solo velocemente ma anche vorticosamente è completamente fermo. Colpa di una certa diffidenza dei cosiddetti «costruttori» verso un premier che ogni ora che passa sembra sempre più debole (in molti si sono detti pronti a sostenere un nuovo governo purché non ci sia più lui a Palazzo Chigi). Ma, soprattutto, colpa della fronda interna alla maggioranza, pronta ad approfittare delle vicissitudini giudiziarie del segretario dell'Udc Lorenzo Cesa, proprio ieri indagato per associazione mafiosa aggravata. Non un dettaglio, visto che il simbolo centrista e il suo leader sono da giorni al centro dei corteggiamenti di Palazzo Chigi e dei suoi ambasciatori per puntellare la traballante maggioranza di governo dopo l'uscita di Matteo Renzi. Conte ci teneva a tal punto che Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, è arrivato a mettere sul tavolo «un ministero di peso» se Cesa avesse ceduto alle lusinghe. Il leader dell'Udc, però, ha una vecchia consuetudine con il centrodestra e alla fine ha detto «no», a differenza dei «suoi» tre senatori centristi: fortemente scettico Antonio De Poli, più possibilisti Paola Binetti e Antonio Saccone. Così, ieri mattina in molti hanno pensato che l'inchiesta della procura di Catanzaro avrebbe potuto in qualche modo sciogliere il nodo e lasciare una certa libertà di manovra a eventuali centristi dissidenti. Sembrava, insomma, una mossa che potesse finalmente far muovere che quel pallottoliere che al momento sembra rimanere irrimediabilmente fermo. Invece, prima Alessandro Di Battista e poi Luigi Di Maio, hanno dato fuoco alle polveri facendo sapere che per il M5s il consolidamento del governo «non può avvenire a scapito della questione morale». Ineccepibile, se non fosse che fino a poche ore prima a Cesa venivano offerti ministeri e che a tutt'ora la pesca a strascico dei senatori costruttori avviene mettendo sul tavolo qualunque poltrona disponibile (non solo di governo, ma anche posti in lista, consigli regionali, partecipate e chi più ne ha più ne metta).
Ci sta, dunque, che Conte non abbia gradito l'aut aut di Di Battista e Di Maio. Che, inevitabilmente, hanno puntato i riflettori di media e opinione pubblica sulla trattativa in corso con l'Udc. La strada, dunque, si è fatta più in salita, soprattutto per chi - come Binetti e Saccone - un pensierino sul cambio di campo lo stanno facendo. E non è un dettaglio, perché sono quelli i voti che servono mercoledì prossimo quando il Senato voterà la relazione sulla Giustizia del Guardasigilli Alfonso Bonafede, capo delegazione M5s nel governo. Mancheranno due senatori a vita e l'asse tra opposizione e Italia viva potrebbe mettere in grande difficoltà il governo. Il fatto che per far nascere il gruppo contiano al Senato si possa usare il simbolo del Maie è dunque solo una consolazione, visto che i senatori in questione fanno già parte della maggioranza. Si lavora quindi su Italia e viva e su Forza Italia, per provare a portare a casa quei senatori che possono ancora una volta salvare la maggioranza. A ieri sera, il personale pallottoliere sulla scrivania di Conte diceva che i voti mancanti sono ancora due.
Magari alla fine il premier riuscirà a trovarli. Il punto è che rischiano di non essere determinanti per l'operazione che Conte sta provando a portare in porto. Lo stallo sui numeri, infatti, allontana i possibili costruttori che preferiscono aspettare il prossimo giro, magari con un premier incaricato che non abbia l'ostilità dei vertici del M5s (Di Maio e Di Battista, per ragioni molto diverse) e di un pezzo del Pd. In molti, infatti, iniziano a puntare il dito contro Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini per l'insistenza con cui stanno appoggiando il tentativo di Conte di restare a galla.
«Ma non sarebbe più dignitoso lasciar stare questa compravendita di senatori e provare a ricucire con Renzi?», si chiede un ministro dem. Il leader d'Italia viva sa che il tema è oggetto di dibattito a largo del Nazareno. Non a caso ieri ha offerto al premier il bacio della morte: «Se volete confrontarvi ci siamo».
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