Qualche parroco ha già aggiornato la traduzione, ma la gran parte dei preti italiani ripete ancora il testo sbagliato: «Non c'indurre in tentazione». Parole che il Papa boccia senza appello, tornando per la seconda volta in pochi mesi sul Padre Nostro, la preghiera più diffusa fra i cristiani. Francesco parla ai centomila giovani accorsi a Roma, al Circo Massimo, per ascoltare la sua parola e non lascia spazio a interpretazioni: «Nella preghiera del Padre Nostro c'è una richiesta: non ci indurre in tentazione. Questa traduzione italiana è stata recentemente cambiata perchè poteva suonare equivoca». Francesco risponde alla domanda di un giovane che chiede lumi sul tema. «Può Dio Padre indurci in tentazione? - insiste Francesco - Può ingannare i suoi figli? Certo che no. Infatti una traduzione più appropriata è: non abbandonarci alla tentazione. Trattienici dal fare il male, liberaci dai pensieri cattivi». «Non abbandonarci alla tentazione»: è esattamente questa la formula già adottata in qualche chiesa e che rende correttamente l'originale greco. La tentazione infatti è opera di Satana. Ma il cambiamento arriverà solo fra qualche mese, a novembre, quando l'assemblea straordinaria della Cei, la Conferenza episcopale italiana, approverà il nuovo Messale Romano la versione ritoccata del Padre Nostro. «A volte le parole - commenta Francesco - anche se parlano di Dio tradiscono il suo messaggio d'amore. A volte siamo noi a tradire il Vangelo».
Un ragionamento che non si ferma alla liturgia. E investe tutta la vita: se nella prima giornata, Bergoglio aveva invitato i ragazzi a volare alto e a credere nei sogni, l'Angelus domenicale diventa un'apologia del bene. Che è cosa assai diversa dal comportarsi bene. Per il cristiano l'asticella sale molto più in alto, fino ad un'altezza vertiginosa: «Non sentitevi a posto quando non fate il male. Ognuno è colpevole del bene che poteva fare e non ha fatto». Una raccomandazione che Francesco declina con esempi concreti: «Non basta non odiare, bisogna perdonare; non basta non avere rancore, bisogna pregare per i nemici; non basta non essere causa di divisione, bisogna portare pace dove non c'è; non basta non parlare male degli altri, bisogna interrompere quando sentiamo parlare male di qualcuno». Insomma, se la Chiesa è nella testa di Francesco un ospedale da campo dove si curano le ferite dell'umanità, il fedele, a maggior ragione il giovane che entra nella battaglia dell'esistenza, non può cavarsela come un ragioniere dello spirito che faccia il suo compitino. Ritornano i sogni, ritornano i grandi ideali, con corredo di sacrifici, e gli uomini visionari come San Francesco: «Non conosceva frontiere e sognando in grande ha cambiato la storia dell'Italia». Francesco ammonisce: «No a una cultura di morte e al disprezzo dell'altro. Il cristiano - è la conclusione per niente rassicurante - non deve essere ipocrita e deve vivere con coerenza». Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ripropone invece alla platea del Circo Massimo il dramma dei migranti. E lo fa soffermandosi sulla figura del profeta Elia, al centro delle letture domenicali: «La fuga di Elia ci fa pensare ai tanti giovani che vivono sulla loro pelle la stessa condizione del profeta e che devono rifugiarsi o migrare in altri Paesi a causa di guerre o dittature o carestie».
Un invito, insomma, a non dimenticare quel che accade intorno a noi e a trasformare le emozioni di questo week end particolare, compresa la Notte Bianca trascorsa nelle chiese rimaste aperte, in un giudizio sui drammi del mondo. E in una vita rinnovata.
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