Più che una corsa contro il tempo, la formazione del nuovo governo francese è diventata un rally fuoristradistico, in cui l'abilità dei due piloti è messa alla prova dalla mancanza di un semplice (ma fondamentale) equipaggiamento chiamato maggioranza parlamentare.
Il tentativo di Emmanuel Macron di tenere in strada la «macchina» d'Oltralpe è già fallito con la sfiducia votata dall'Assemblée 19 giorni fa, che ha fatto cadere il governo Barnier sotto i colpi delle opposizioni di sinistra; saldate per un giorno con la destra lepenista. Il nuovo co-pilota di Macron, il centrista Bayrou chiamato per tagliare il traguardo di un nuovo esecutivo, non è riuscito a compiere ancora neppure un giro di pista con i teorici alleati; gli stessi vantati dal predecessore.
Le difficoltà sono le medesime, provenienti anche dalla potenza numerica del Rassemblement national: primo partito con 124 deputati, pur stando all'opposizione punta a vedere nominati ministri non ostili.
La Francia doveva infatti avere un nuovo governo in carica da ieri, secondo quanto comunicato per l'intera giornata dall'entourage del premier. Ma all'ultimo minuto l'annuncio choc, dall'Eliseo: niente lista, niente accordo, niente squadra. Tutto rimandato a quel generico «prima di Natale» indicato come orizzonte da Bayrou giorni fa. Il casting si sarebbe arenato in particolare su un nome sgradito a Le Pen, la quale continua a tenere sotto scacco ogni esecutivo nato dal centro allargato dopo le elezioni anticipate di luglio: se Xavier Bertrand diventasse ministro della Giustizia, fanno sapere i lepenisti, «le pressioni per votare una nuova sfiducia sarebbero difficili da contenere». Minaccia tutt'altro che velata.
La girandola di nomi scelti da Bayrou era già sui canali all news, e sembrava tracciare la rotta della continuità col predecessore sfiduciato. Due telefonate Bayrou-Macron per limare quei minimi dettagli sulla nuova architettura di potere, poi un incontro preannunciato per la serata all'Eliseo. Invece? Francia ancora nel caos. Forse oggi, nel giorno del lutto nazionale per le vittime del ciclone a Mayotte, Bayrou svelerà la formazione.
L'aria che tira è però di déjà-vu. Ministri dimissionari pronti ad essere confermati: da Retailleau (Interno, figura di destra che sull'immigrazione non dispiace a Le Pen) a Lecornu (dimissionario alla Difesa) fino al ritorno di Borne (la ex premier macroniana della contestata riforma delle pensioni). Riedizione della crisi dietro l'angolo: a meno che Bayrou non scelga di negoziare punti di programma precisi con Le Pen (partendo proprio dall'immigrazione), o non riesca a ottenere quel «patto di non sfiducia» mai decollato con il Partito socialista, a sua volta «all'opposizione» e ancora dentro l'alleanza delle sinistre. Solo così la «non sfiducia» sarebbe in qualche modo garantita. Compromessi. Ma il metodo Bayrou non decolla. E non piace neppure ai francesi: gradimento minimo. Secondo l'Ifop, solo il 34% dei «sondati» è soddisfatto. Dal 1959, nessun altro neo premier aveva ottenuto un «punteggio» così basso. Gli insoddisfatti superano di gran lunga i predecessori: Barnier a settembre era al 55%, Attal a gennaio 2024 al 46%, Borne nel maggio 2022 al 43%.
«Stringiamo i denti e andiamo avanti», taglia corto il tribuno della gauche Mélenechon, «tra poco la sfida sarà tra noi e il Rn». Le Pen per ora spera in un Guardasigilli pronto ad ascoltare le sue ragioni: a marzo saprà se sarà eleggibile o meno all'Eliseo nel 2027.
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