Parigi e Londra costrette all'austerity. L'autogol di Berlino

Macron alle prese con il deficit è pronto alla "super-patrimoniale". La scure della Gran Bretagna

Parigi e Londra costrette all'austerity. L'autogol di Berlino
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Il ritorno in vigore del Patto di Stabilità dal prossimo anno fa sì che molti Paesi europei debbano programmare leggi di Bilancio restrittive. L'Italia è in buona compagnia di sei nazioni in procedura di extradeficit. Tra queste la Francia è il sodale in condizioni più critiche. Se il ministro Giorgetti deve approntare una manovra da 25 miliardi effettuando al contempo una correzione di 12 miliardi, il presidente Emmanuel Macron e il suo nuovo primo ministro Michel Barnier sono costretti a sacrifici ben più pesanti. L'Italia, infatti, intende portare il deficit/Pil dal 3,8% atteso quest'anno (dal 4,3% inizialmente stimato nel Def) al 2,8% nel 2026. Parigi, invece, parte da un situazione peggiore con il deficit/Pil 2023 al 5,5% che dovrà rientrare entro la soglia del 3% nel 2029. Per quest'anno si partirà da una manovra da 60 miliardi dei quali 40 miliardi proverranno da tagli di spesa e 20 miliardi da maggiori entrate. Queste saranno composte da una parte di tassazione sugli extraprofitti delle imprese e da un aggravio della patrimoniale introdotta da Sarkozy nel 2011 e poi resa strutturale dal suo successore Hollande. In particolare, l'idea sarebbe di colpire con un'ulteriore addizionale i redditi sopra i 750mila euro e quelli sopra un milione per raddoppiare il ricavato da 1,5 a 3 miliardi di euro. Dall'altro lato, si studia anche un modo per aumentare il prelievo su bonus e stock option dei manager che in Francia pagano una flat tax del 30 per cento.

L'Unione europea è costruita sulle tasse, questo ormai è noto. E anche la Germania non si può dire che sia esente da problemi. Anche se non ha deficit e il suo debito è basso rispetto al Pil (63,6% contro il 134% dell'Italia), è sostanzialmente in recessione proprio a causa dell'estremo rigore sui conti pubblici.

La notizia più rilevante degli ultimi tempi è il ricorso alle misure draconiane anche da parte di chi non fa più parte dell'Ue e, dunque, potrebbe fare a meno dell'austerity. Il primo ministro britannico Keir Starmer ha dichiarato a fine agosto che il prossimo budget (la legge di Bilancio che a Londra si vara a fine ottobre) dovrà prevedere maggiori entrate per 22 miliardi di sterline (26,2 miliardi di euro). La colpa, come è prassi a tutte le latitudini, è ovviamente di chi c'era prima, ossia il duo Johnson-Sunak. In realtà, l'economia di Albione è in notevole difficoltà da tempo. Nel 2023 il Pil è rimasto pressoché fermo (+0,3%) e il debito ormai uguaglia il prodotto interno lordo.

Ecco, quindi, che Starmer ha pensato subito a due misure assai controverse. In primo luogo, ha annunciato la fine del regime di esenzione per i redditi e i profitti conseguiti all'estero (circostanza che potrebbe indurre 100mila «paperoni» a lasciare la City) e poi ha addirittura annunciato di voler tagliare i sussidi per il riscaldamento, scelta controcorrente per un leader laburista.

Insomma, alla patrimoniale per i ricchi si unisce il taglio dei benefici per i poveri, giusto per scontentare un po' tutti. O forse per accontentare «qualcuno». Non è passato, infatti, inosservato il caloroso incontro di qualche giorno fa con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.

Un «abbraccio» che qualche commentatore ha interpretato come un primo tentativo di rimangiarsi la Brexit senza passare per il referendum popolare. E quale miglior modo di riaccreditarsi in Europa che con una legge di Bilancio restrittiva?

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