Il parroco e la sindacalista

C'è un tempo per i comizi, si diceva, e un tempo per le lacrime. E nessuno ha diritto di sporcare le seconde con il rancore dei primi

Il parroco e la sindacalista
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C'è un tempo per le lacrime e uno per i comizi. E a don Carlo, nome verdiano e una sola guancia evangelica da porgere, è sembrato inopportuno che quella sindacalista scambiasse la messa per un raduno della Cgil.

Ha così ripreso la delegata che ricordava il collega suicidatosi dopo un licenziamento da parte dell'azienda per cui lavorava da ventisette anni, la metà della sua vita: «Qui non siamo al sindacato, parli solo di lui, se vuole ricordarlo», le ha detto. E lei, obbediente, borbottante, ha tagliato corto.

Parrebbe di essere sul set di Don Camillo e Peppone se non fosse per il tono acre della tragedia, ben diverso da quello ottimista da commedia del dopoguerra. E invece. Invece si era in una chiesa di Pontelongo, in provincia di Padova, dove nel giorno dopo Ferragosto, con fuori un caldo feroce quasi quanto la morte, si stavano celebrando i funerali di P.M., cinquantacinquenne ex dipendente della Metro, grande gruppo del commercio all'ingrosso, per una faccenda di 300 euro (nemmeno, alcuni dicono 280) che lui, responsabile dell'area vendita di Marghera, aveva fatto perdere all'azienda alterando il sistema di calcolo delle spese di trasporto. Pare si trattasse di un piccolo stratagemma per favorire qualche cliente di lunga data. Un'inezia? Una scorrettezza grave? Un atto di slealtà? Non sta a noi giudicare.

Fatto sta che la dirigenza della Metro aveva inviato al dipendente dapprima una lettera di contestazione formale e poi, dopo che l'uomo si era rivolto al sindacato, aveva cambiato l'oggetto della missiva in: licenziamento. Lui l'aveva aperta con un po' di sgomento, quella lettera, l'aveva letta, aveva apparentemente digerito il dolore. E poi, semplicemente, si era ammazzato.

Non tutto è chiaro in questa vicenda. L'uomo non aveva detto a nessuno di quella lettera che concludeva una relazione lavorativa più lunga di un quarto di secolo. Un familiare sostiene, in un'intervista, che l'uomo gli avesse mostrato il contratto per un nuovo lavoro. E poi il licenziamento poteva essere impugnato, dopo Ferragosto era previsto un incontro per ridiscutere la sanzione. Insomma, la vita professionale di P.M. era tutt'altro che finita. E allora?

Allora l'uomo deve aver vissuto come un'insopportabile umiliazione il fatto che la sua azienda lo facesse fuori come un truffatore dopo una carriera irreprensibile. Le vie per l'infelicità, si sa, sono infinite.

Come quelle del Signore, che di don Carlo Pampalon è il datore di lavoro, ciò che non ha spinto il parroco a solidarizzare con il dipendente suicida. Per lui P.M. era prima di tutto un uomo straziato e così andava ricordato nella sua chiesa.

Così quando Piera Meneghetti, delegata della Cgil, ha preso a leggere una lettera aperta scritta da lei assieme ad altri colleghi che era un vero atto di accusa nei confronti della Metro, che parlava di «sfruttamenti» e «sacrifici», lui le ha tolto la parola.

C'è un tempo per i comizi, si diceva, e un tempo per le lacrime. E nessuno ha diritto di sporcare le seconde con il rancore dei primi.

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