Sbloccare la crisi del grano e cercare di far ripartire i negoziati di pace tra Russia e Ucraina. Sono due gli obiettivi al centro dei colloqui di oggi in Turchia tra il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov e l'omologo turco Mevlut Cavusoglu. Con Ankara che si fa teatro e motore di una possibile svolta, mentre Mosca si lancia in una pesantissima accusa a Kiev, colpevole - secondo il responsabile del Centro di controllo della Difesa nazionale russo, Mikhal Mizintsev - di aver «deliberatamente dato fuoco e distrutto un deposito con 50mila tonnellate di grano» al porto di Mariupol prima di perdere il controllo della città.
L'incontro è stato anticipato ieri da una telefonata tra i ministri della Difesa russo, Sergei Shoigu, e turco, Hulusi Akar. I due hanno discusso della creazione di corridoi sicuri per il grano attraverso lo stretto del Bosforo e lo stretto di Dardanelli, controllati da Ankara. Il ministero della Difesa russo sostiene di aver creato le condizioni per i due corridoi umanitari nel Mar Nero e nel Mare di Azov, che assicureranno «la sicurezza della navigazione civile». Shoigu ha anche annunciato l'entrata delle prime navi cargo nel porto di Mariupol, «sminato con quello di Berdyansk», e pronto a spedire grano.
Ma nulla è ancora deciso e certo. «Non ci sono accordi chiari» per l'esportazione di grano da Odessa, ha annunciato il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, smentendo le indiscrezioni del giorno prima. Secondo il quotidiano russo Izvetsia, un'intesa di massima, limitata al porto della città, sarebbe stata raggiunta. La Turchia aiuterebbe a rimuovere le mine, le forze navali russe scorterebbero le navi. Con la garanzia di Putin di non utilizzare le vie commerciali per attaccare l'Ucraina. Ma Kiev continua a non fidarsi. «È lo stesso Putin che diceva al cancelliere tedesco Scholz e a presidente francese Macron che non avrebbe attaccato l'Ucraina», ha commentato scettico il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba. Ed è questo lo scoglio che la Turchia potrebbe aiutare a superare: stiamo lavorando per «garantire che vi sia fiducia tra le parti», ha spiegato il ministro turco Akar. Ankara continua anche a lavorare per le garanzie di un allargamento della missione internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite: «Sono stati fatti molti progressi» nei colloqui tra Russia, Ucraina e Onu, ha aggiunto il ministro. «Il lavoro continua questioni tecniche: come sarà questo corridoio, in che modo verrà effettuata la bonifica dalle mine nei pressi dei porti e chi scorterà le navi».
Su questo punto, però, tutto potrebbe arenarsi. Per il vice ministro dell'Agricoltura ucraino, Taras Vysotskyi, se anche i russi togliessero il blocco al porto di Odessa, resterebbe il problema di migliaia di mine galleggianti nel Mar Nero. Per eliminarle tutte, potrebbero volerci sei mesi. Tempi insostenibili per quei Paesi che rischiano la fame. E Peskov cita Putin: tocca all'Ucraina sminare i porti.
Sui negoziati di pace, la missione sembra ancora più faticosa. Nonostante la buona volontà per la ripresa dei colloqui espressa dal ministero degli Esteri russo in una nota, il presidente ucraino Zelensky ha ribadito di voler recuperare «il controllo totale dell'intero territorio». «Lo stallo non è un'opzione» ha aggiunto, pur dicendosi aperto ai negoziati. A dargli man forte è il premier inglese Boris Johnson: «Zelensky non deve essere spinto ad accettare un cattivo accordo». Chi, invece, insiste sulla politica dell'apparente neutralità è la Cina.
Dopo che Zelensky si era augurato che Pechino usasse la sua influenza su Mosca, il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha criticato «le forze esterne» che cercano con la «minaccia» di costringere i Paesi terzi a schierarsi.
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