Ora in gioco ci sono i nuovi equilibri di un sistema, quello bancario, che la crisi finanziaria a cavallo del primo decennio del Duemila e una Bce sempre più rigorosa avevano costretto a un ripensamento della missione e delle modalità con cui portarla a compimento. Il terremoto in atto è di tale portata che alla fine delle scosse avremo una topografia oggi difficilmente configurabile, tante sono le mosse e contromosse che si comunque profilano, ma probabilmente irriconoscibile se confrontata con quella di soli dieci anni fa. La prima scossa è venuta per opera di un banchiere d'azzardo, Andrea Orcel, di grande intelligenza e visione ma totalmente insofferente dei riti che per cinquant'anni avevano regolato la vita del nostro sistema bancario. A capo di Unicredit dal 2021, alla fine della scorsa estate Orcel ha dato il via al tanto annunciato risiko del settore, con l'assalto alla tedesca Commerzbank. Poco dopo, in risposta al via libera del governo alla nascita del terzo polo bancario (formato da Bpm, Mps e Anima insieme a due gruppi molto liquidi come Del Vecchio e Caltagirone), ecco partire la scalata ostile contro Bpm che a sua volta aveva in precedenza lanciato una scalata (non ostile) su un campione del risparmio come Anima. Così facendo Orcel ha in un certo senso azzoppato il progetto del governo che, attraverso il nascente terzo polo bancario, avrebbe agito per bloccare la più grande operazione di trasferimento all'estero di risparmi degli italiani (circa 630 miliardi di euro) che Generali, controllata da Mediobanca, si apprestava a realizzare insieme al colosso francese Natixis. Descritta sommariamente ad alcuni esponenti del governo, l'operazione era stata vivamente sconsigliata ai vertici della compagnia triestina, che però, nonostante gli inviti alla prudenza dei revisori interni, alla fine l'hanno deliberata sia pure tra molte polemiche.
È probabilmente anche in seguito alla decisione delle Generali di procedere comunque che Mps, forte del via libera dei nuovi grandi azionisti, ha dato fuoco alle polveri del suo progetto su Mediobanca. Se è vero infatti che l'obiettivo dichiarato della compagnia triestina è di dare vita con Natixis al secondo polo europeo del risparmio gestito, è però anche vero che la sede della nuova piattaforma (Amsterdam) non rassicura sulla vera destinazione finale di quei 630 miliardi. Perlomeno non in base alle garanzie, per ora sommarie, fornite dai vertici delle Generali.
Ce n'è abbastanza, insomma, per sostenere che siamo davanti a una vera e propria svolta storica dopo che per decenni gli equilibri della finanza italiana sono stati decisi non da libere logiche di mercato ma da quello che veniva sancito da pochi eletti nella sacrestia di Piazzetta Cuccia. Adesso, dopo tanti tentativi falliti, sembra finalmente arrivato il momento decisivo per un cambio di passo. Dall'esito delle operazioni intraprese in questi mesi, peraltro in concorrenza tra loro su diversi piani, dipenderanno i nuovi equilibri di un sistema ormai maturo per cambiare registro. Quali operazioni andranno a buon fine e quali no, questa volta lo deciderà il mercato. E anche Giancarlo Giorgetti fa capire che su Mps-Mediobanca a decidere sarà il mercato. «Il management di Mps ha un disegno e ha fatto una proposta lineare, trasparente e nell'interesse dell'economia italiana. Se il mercato risponderà saremo contenti, se il mercato non risponderà ne prenderemo atto». Il numero uno del Tesoro ha aggiunto: «Il risparmio è una questione seria, tutelata dalla Costituzione». Intanto, dai salotti buoni della stampa internazionale si sono levati alcuni dubbi sull'operazione. A parte qualche riferimento decisamente poco tempestivo sulle vicissitudini passate di Mps - tornata in questi ultimi anni ad essere, con la sponda dell'azionista pubblico, una delle banche più profittevoli del Paese - ciò che emerge è anche una Mediobanca dalle performance non proprio entusiasmanti negli ultimi 5 anni (sostanzialmente il linea con l'indice settoriale), in un certo senso «accontentandosi» durante l'era Nagel del tesoretto garantito dalla preziosa partecipazione agli utili e alle attività delle Generali.
E proprio il Leone di Trieste e la sua gestione sono l'altro tassello essenziale per leggere correttamente l'alta posta in gioco in quello che è molto più di un semplice tentativo di creare la terza maggiore banca italiana.
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