Lo spettro della patrimoniale continua ad aleggiare sul Parlamento. L'emendamento di Nicola Fratoianni (Leu) e Matteo Orfini (Pd), recuperato tramite ricorso dopo che era stato dichiarato inammissibile, è stato inserito tra le proposte di modifica «segnalate», cioè quelle sulle quali si chiede un surplus di discussione e, se possibile, l'approvazione. L'emendamento prevede l'introduzione a partire dal primo gennaio del prossimo anno di «un'imposta ordinaria sostitutiva sui grandi patrimoni la cui base imponibile è costituita da una ricchezza netta superiore a 500mila euro derivante dalla somma delle attività mobiliari ed immobiliari al netto delle passività finanziarie, posseduta ovvero detenuta sia in Italia che all'estero, da persone fisiche». Si chiede l'abolizione dell'Imu e dell'imposta di bollo sui conti correnti e di deposito titoli, per sostituirle con un'aliquota progressiva minima dello 0,2% sui grandi patrimoni la cui base imponibile è costituita da una ricchezza netta superiore a 500mila euro e fino a 1 milione di euro per arrivare al 2% oltre i 50 milioni di euro. Per il 2021 la proposta di modifica prevede un'aliquota del 3% per i patrimoni superiori al miliardo di euro.
La proposta, oltre a scatenare le proteste dell'opposizione, non trova sostegno nella stessa maggioranza visto che il Pd e il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, vorrebbero introdurre l'Irpef «alla tedesca» con aliquote variabili in funzione del reddito. Almeno fino a ieri perché la sortita di Beppe Grillo ha cambiato le carte in tavola. Il fondatore del Movimento, ribadendo il no al Mes, ha proposto «un contributo del 2% per i patrimoni dai 50 milioni di euro al miliardo» e «uno del 3% dato dai multimiliardari» per un totale di 10 miliardi. Obbligando alla retromarcia l'establishment pentastellato.
Insomma, la patrimoniale in un modo o nell'altro potrebbe riapparire in forme diverse rispetto a quelle attuali (l'Imu vale 22 miliardi) e mettere ulteriormente in ginocchio un'economia gravata da 2.580 miliardi di debito pubblico. Per fortuna di Gualtieri ieri sera Fitch ha confermato il rating «BBB-» (un gradino sopra il livello «spazzatura») con prospettive stabili. L'agenzia di valutazione Usa stima un crollo del Pil del 9,1% quest'anno e una ripresa del 4,5% nel prossimo. Ma con un debito/Pil che si avvia verso il 160% e un deficit 2020 all'11%, sottolineano gli analisti, il sostanziale ottimismo si basa sulla possibilità di recuperare i livelli pre-pandemia entro fine 2022 con un adeguato utilizzo dei fondi di Next Generation Eu e, soprattutto, sulla capacità di evitare una crescita ulteriore del debito «con iniezioni di capitale nel settore industriale come, ad esempio, nelle concessioni autostradali, o con il supporto finanziario ad Alitalia». Ecco perché, in fondo, Fitch sembra tifare per una nuova maggioranza visto che le «divisioni fra Pd e M5s su riforme e priorità di spesa potrebbero ritardare l'implementazione di una credibile strategia economica», sebbene nel breve termine il governo non rischi.
Non a caso ieri Standard & Poor's ha rivisto al ribasso le prospettive di crescita globali nel 2021, portandole dal 5,3% al 5%, a causa dell'impatto della seconda ondata di coronavirus.
La crescita dell'Ue è stata ridotta dal +6,1% di ottobre al 4,8, mentre quella dell'Italia è stata tagliata da +6,4% a +5,3. Aumentare il prelievo sui patrimoni potrebbe peggiorare, quindi, un quadro macroeconomico già compromesso.
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