Non solo un vertice intergovernativo in un format così allargato (sette ministri per parte) come tra Italia e Germania non lo si vedeva da oltre sette anni e con tanto di firma di un Piano d'azione e di partenariato strategico di 33 pagine che ha l'ambizione di ricalcare il Trattato di Aquisgrana siglato nel 2019 tra Berlino e Parigi. Ma pure una conferenza stampa congiunta al primo piano del Bundeskanzleramt in cui Giorgia Meloni e Olaf Scholz si scambiano reciproche cortesie e sottolineano in più occasioni una corrisposta sintonia su molti dei dossier sul tavolo. La premier italiana cita il suo omologo in più occasioni («potrei sottoscrivere tutto quello che ha detto sulla crisi in Medio Oriente») e il cancelliere tedesco si premura di fare lo stesso (per esempio sulla dura presa di posizione nei confronti di Vladimir Putin durante una riunione in videoconferenza del G20, a cui i due ieri hanno partecipato insieme dal palazzo del governo tedesco). Addirittura, Scholz arriva perfino a eludere la domanda di un giornalista italiano sulla mancata ratifica del Mes da parte di Roma, tema evidentemente molto sensibile e fortemente divisio.
Eppure, cortesie a parte, sulla riforma del Patto di stabilità - uno dei principali nodi sul tavolo - il faccia a faccia non va per niente bene. Una circostanza che non emerge - forse per una scelta concordata tra le due delegazioni - dalla conferenza stampa finale, dove il cancelliere tedesco arriva perfino a dire che «sono stati fatti buoni progressi», tanto che «non siamo mai stati così vicini a un accordo». La percezione di chi, per parte italiana, era presente agli incontri è invece esattamente opposta. Ed è quella di essersi trovati davanti a un muro, un'immagine che a Berlino è piuttosto evocativa. Scholz, infatti, non avrebbe concesso nulla o quasi. E sarebbe stato molto rigido sul rientro di debito (quello italiano è al 140% del Pil, quello tedesco al 66%) e deficit (che secondo Berlino dovremmo tenere «sotto il 3%»). La Germania, è il senso del ragionamento del cancelliere, i suoi sacrifici li ha già fatti.
Meloni, forse, immaginava di trovarsi davanti più margini di manovra e non una situazione di completo stallo. Così, sia la premier che il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti - nelle interlocuzioni con il suo omologo tedesco - hanno ribadito che «l'Italia firmerà solo un Patto di stabilità che protegge i suoi investimenti». A partire dall'esclusione dai vincoli europei su quelli «verdi», cioè le spese relative alla transizione energetica (tra cui rientra l'eredità degli ecobonus del governo Conte, che peserà per venti miliardi l'anno sui conti italiani fino al 2026). Non è un caso che Meloni non entri nel dettaglio dei «buoni progressi» annunciati da Scholz. «È molto difficile dire di più, perché è evidente che tutto è collegato», dice. Insomma, «se si vuole avere un'idea sui possibili numeri di rientro del debito», certo «non posso farlo se non so cosa accade agli investimenti». Ecco perché, aggiunge con molta più prudenza del cancelliere tedesco, facciamo «piccoli passi in avanti cercando una sintesi che non è facile».
Tirando le somme, nessuno ha evocato l'eventuale scenario di un veto italiano, ma le distanze restano e sono enormi. Anche sul fronte della flessibilità, sui cui Berlino ha aperto ma solo a patto che l'Italia si impegni ad approvare alcune riforme (a partire da quella del fisco). Uno scenario che non convince per nulla Meloni, che chiede un Patto di stabilità con regole europee chiare e senza condizionalità che finiscano poi per vincolare l'agenda politico-economico-legislativa dei singoli Paesi. Così, non è affatto un caso che - in chiusura di conferenza stampa e quando un giornalista tedesco le chiede se alla luce della recessione della Germania ritenga ancora Berlino un partner affidabile - Meloni si dilunghi su quello che non considera affatto un dettaglio. «Trovo il cancelliere Scholz una persona molto affidabile e tra noi le cose funzionano perché siamo abituati a parlare in modo chiaro», premette la premier.
Che aggiunge: «Considero la Germania un partner affidabile e non sono tra quelli a cui piace l'ingerenza esterna sulle questioni interne dei Paesi membri. E quindi non intendo farlo in questa occasione». Grandi cortesie, ma - sul decisivo dossier della riforma del Patto di stabilità - anche grandi distanze.
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