Giorgetti è andato all in sulla riforma del Patto di Stabilità. Dopo ore di tentennamenti sulla proposta spagnola all'Ecofin di ieri a Bruxelles, il ministro dell'Economia ha fatto sapere che l'Italia non è disposta a firmare un accordo a qualunque costo. Se le intese fossero penalizzanti per il nostro Paese, tanto varrebbe restare con il vecchio Patto, le cui clausole draconiane di riduzione annua del debito (5% del Pil che per l'Italia ammonterebbero a oltre 90 miliardi) sono rimaste sempre inapplicate proprio per la loro irrealizzabilità.
Ancora una volta è stata la Germania a tirare troppo la corda. La proposta spagnola di monitoraggio continuo di deficit e debito con impegni concreti al loro abbattimento non sono stati ritenuti sufficienti. Berlino, infatti, avrebbe voluto che restassero comunque criteri oggettivi di riduzione del disavanzo (circa l'1% annuo del Pil) per i Paesi con un deficit/Pil superiore al 3 per cento. Della proposta iberica, invece, era stato apprezzato l'intento di inserire le spese per la difesa come «attenuante» in caso di procedure di deficit eccessivo. Tuttavia, il governo Meloni si era battuto sin dall'inizio per uno scomputo totale degli investimenti militari, così come di quelli legati alla transizione green direttamente connessi al cofinanziamento del Pnrr. In ogni caso, il vertice di ieri non è stato un fallimento. La presidenza spagnola, guidata dal ministro delle Finanze Nadia Calviño, ha formulato una nuova proposta che cerca di tenere conto di tutte le difficoltà finora incontrate. Una mossa necessaria per guadagnarsi l'appoggio dei Paesi indecisi se votarla come nuova presidente della Bei. A Bruxelles i ministri erano ancora divisi visto che l'altra concorrente, la commissaria danese Vestager non convince tutti, a partire dall'Italia cui ha causato più danni che benefici durante il suo incarico.
E proprio dalla Danimarca è giunta una nuova formulazione della riforma del Patto che ha lo scopo di avvicinare «falchi» e «colombe». La proposta di Copenaghen prevede come salvaguardia il calo del debito nei 4 anni dopo il periodo di aggiustamento (4 anni estendibili a 7 che diventano 8 estendibili a 11). La Germania chiedeva che la riduzione fosse effettiva già nell'ultimo anno del «periodo di transizione», cioè entro un termine di quattro anni. L'iniziale bozza spagnola, invece, concedeva ben 14 anni (17 in caso di estensione). Non sono numeri a caso. Più lungo è il tempo concesso per l'aggiustamento di bilancio meno scrupoli ci sono per i decimali di deficit per i Paesi ad alto debito come l'Italia. Se invece vincesse Berlino, per Giorgetti si prospetterebbe una manovra 2025 al ribasso. Il motivo è presto detto: la Germania, con il silenzioso supporto della Francia (a breve il ministro delle Finanze Le Maire incontrerà il suo omologo Lindner), chiede che durante il percorso di aggiustamento il deficit/Pil resti sotto il 3%.
«Verrà convocato un Ecofin straordinario», ha annunciato ieri Calviño, aggiungendo di muoversi con la pazienza dei pellegrini sul Cammino di Santiago.Il nuovo round dovrebbe svolgersi fra due settimane. La speranza di Giorgetti è che l'ultima carta gli consenta di vincere il piatto.
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