Prima è sceso in campo Giancarlo Giorgetti, ministro dell'Economia e dunque titolare del dossier. Poi, ventiquattrore dopo, è stata la volta di Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei e il Pnrr e, soprattutto, voce molto ascoltata da Giorgia Meloni su tutte le questioni che hanno a che fare con Bruxelles. Un uno-due andato in scena nei giorni scorsi al Meeting di Comunione e liberazione, con l'obiettivo di mettere in chiaro quella che è la posizione italiana sul Patto di stabilità. D'altra parte, il tempo stringe e l'Ecofin in programma il 15 e 16 settembre sarà un passaggio fondamentale per riformare la governance economica dell'Ue. Sospese ai tempi del Covid, infatti, le regole di bilancio europee - molto stringenti per l'Italia e tutti i Paesi che hanno un alto debito pubblico - dovrebbero tornare in vigore dal primo gennaio. Uno scenario che a Palazzo Chigi non vogliono neanche prendere in considerazione, convinti che le vecchie regole siano non solo ormai anacronistiche ma anche punitive verso l'Italia. Di qui la necessità che si arrivi a una riforma del Patto entro il 31 dicembre, un'intesa sì complessa ma possibile. D'altra parte, arrivare alle elezioni Europee di giugno in un clima di scontro tra teorici del rigore e sostenitori della flessibilità non è nell'interesse di nessuno.
La trattativa la sta ovviamente conducendo in prima persona Giorgetti, ma sul punto si sta spendendo molto anche Meloni, che ha avuto già alcune interlocuzioni con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. La posizione italiana è chiara e l'hanno esposta al Meeting di Rimini sia il ministro dell'Economia che Fitto. Quest'ultimo, peraltro, davanti alla platea di Cl ha anche sottolineato come «in questi anni di sospensione del Patto» sia «aumentata e molto la spesa pubblica e quella corrente», critica evidentemente rivolta ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi. L'Italia chiede a Bruxelles lo scorporo degli investimenti su transizione green, digitalizzazione e Difesa, perché - è la posizione di Palazzo Chigi - non ha senso che questo tipo di investimenti, soprattutto se le risorse in questione rientrano nel Pnrr, finiscano con il fare nuovo debito.
Bisognerà però superare le resistenze della Germania, capo-fila dei rigoristi. Con una trattativa che ha tempi stretti e, forse, anche il problema di una presidenza di turno dell'Ue che è in capo a un Paese - la Spagna - senza un governo in carica. E nella quale potrebbero rientrare anche altri dossier su cui l'Italia ha posizioni non in linea con Bruxelles, a partire dal Mes. Di certo, Roma dovrà puntare a giocare di sponda con quei Paesi che avanzano richieste simili alle nostre e che sarebbero anch'essi molto penalizzati da un eventuale rientro in vigore del vecchio Patto di stabilità. Prima fra tutti la Francia di Emmanuel Macron, con cui i rapporti - adesso certamente migliorati rispetto a nove mesi fa - in quest'ultimo anno sono stati piuttosto complicati. Anche la Spagna va nella nostra direzione, ma Pedro Sànchez è ancora alle prese con la nascita del nuovo governo dopo le elezioni generali del 23 luglio e con Meloni il rapporto è sempre stato piuttosto formale. Ci sono poi il Portogallo e la Grecia, dove la premier è attesa martedì per un faccia a faccia con il primo ministro Kyriakos Mitsotakis nel quale si parlerà inevitabilmente anche della riforma del Patto di stabilità. Sullo scorporo delle spese per la Difesa, poi, Roma guarda alla Polonia e ai Baltici, che spingono per avere più margini di bilancio proprio per gli investimenti militari.
Una partita complessa, a cui a Palazzo Chigi guardano però con fiducia, convinti che alla fine un'intesa si troverà. Il punto, ovviamente, è capire quale.
Se invece la trattativa dovesse entrare in una fase di stallo, Roma potrebbe mettere sul tavolo l'ipotesi di prendere tempo e «congelare» il rientro in vigore delle vecchie regole di bilancio previsto per il primo gennaio.
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