Luigi Marattin, lei si è astenuto sulla Finanziaria chiedendo a Giorgia Meloni un «patto sulla produttività». Perché?
«La produttività, motore della crescita del Pil, si è fermata a inizio Anni 70. Dopo aver usato nei due decenni successivi svalutazione e debito pubblico per occultare il problema, dagli Anni 90 siamo diventati il paese col tasso medio annuo di crescita Pil più basso del mondo. Ed è la radice di tutti i nostri problemi. Occorre la replica del Patto del 1993: quello sconfisse l'inflazione, questo invece deve aggredire il nodo della produttività».
Ha invitato in aula la premier Meloni a «farsi crescere le basette di Milei». Cioè?
«Oltre alla produttività, serve un taglio della spesa pubblica per finanziare uno shock fiscale, e una rivoluzione concorrenziale nei mercati: l'agenda Milei. Ma sono entrambe cose ben al di fuori del dna politico di questa destra e di questa sinistra. Per gli uni sono l'espressione della tecnocrazia europea, per gli altri del liberismo sfrenato. Ecco perché serve un nuovo progetto».
Un centro liberale, che lei ha lanciato con «Orizzonti Liberali» uscendo da Iv. Teme la concorrenza di personaggi come Sala o Ruffini?
«Loro vogliono fare il centro del centrosinistra. Io non credo in questa idea. Non esiste una Italia, che già non voti Pd, disposta a mandare Landini a fare il ministro del Lavoro solo se a chiederglielo è qualcuno dalla faccia più rassicurante. L'Italia che si è stancata di un bipolarismo a traino populista resta invece priva di rappresentanza politica».
Lo spazio dunque c'è?
«Negli ultimi anni i liberali-riformatori si sono illusi di poter moderare i populismi. Pensando che, visto che alla fine i voti si prendono solo urlando e promettendo la luna, tanto vale accasarsi presso una delle due curve ultrà e provare a limitare i danni. Ma è una strategia perdente per due motivi. Primo, i populismi non si fanno moderare, vincono sempre loro. Secondo, per le sfide dei prossimi anni non sarà più sufficiente limitare i danni: servirà il coraggio di scelte nette, senza cedere a populismi e incantatori di serpenti».
La sinistra non è in grado?
«Il Pd è ormai un tradizionale partito socialista, e l'alleanza strutturale con 5S e Avs ha delinea un campo largo guidato da anti-capitalismo e populismo giudiziario e dal populismo sindacale di Landini. Per chi crede nel liberalismo e in una società che abbia come stella polare l'ampliamento delle libertà e delle opportunità, è impossibile costruire con costoro il programma di governo per far tornare l'Italia protagonista nella globalizzazione. Così come lo è con i sovranisti e i populisti di destra».
Lei è a favore di una riforma garantista della giustizia?
«Sì: separazione delle carriere, valutazione dei magistrati, riduzione della
durata dei processi e rottura del cortocircuito tra procure e informazione. Che, ben lungi dall'essere la tanto evocata libertà di stampa, è lo strumento con cui si sono distrutte carriere politiche, sulla base del nulla».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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