Il Pd resta orfano e guarda a Draghi. Il sospetto dei dem: "Asse Letta-Conte per andare al voto"

Manca nel Pd un regista dietro le quinte che sostenga un nome. Salvini: al lavoro per trovare un nome che sia solo dei democratici.

Il Pd resta orfano e guarda a Draghi. Il sospetto dei dem: "Asse Letta-Conte per andare al voto"

Manca la exit strategy e manca il regista: a due mesi dall'apertura ufficiale dei giochi, la partita per il Quirinale - vista dal Nazareno - appare in altissimo mare.

La exit strategy che avrebbe salvato capra e cavoli (cioè il governo e il ruolo del Pd) era il bis di Sergio Mattarella, che però si è sottratto. Quanto al regista, la cabina allo stato è vuota, o talmente affollata da leader (pochi dei quali controllano i propri gruppi) da risultare una Babele. Le altre elezioni al Colle hanno avuto quasi sempre un artefice capace di lavorare dietro le quinte: Veltroni con Ciampi, Renzi con Mattarella etc. Ora non si vede chi possa essere, almeno a sinistra.

Enrico Letta torna ad ammonire: «Basta chiacchiericcio, se ne parla a gennaio non si è mai visto un presidente scelto con mesi di anticipo». Ma nel suo partito c'è preoccupazione: «Va bene non parlarne, ma non muoversi nemmeno è un suicidio: così è inevitabile restare ostaggi di uno che a manovrare in Parlamento è molto più bravo di noi, come Renzi», lamenta un parlamentare della sinistra dem. Il timore che avanza più di un esponente dem è un altro: che «Letta, con Conte e Bettini, si stia per spostare su Draghi. Senza disdegnare le elezioni anticipate». Un sospetto indirettamente confermato dal fatto che ieri sia subito sceso in campo un potenziale antagonista del segretario dem, il governatore emiliano Stefano Bonaccini, per frenare: «Spero di avere Draghi al governo fino al 2023». E del resto anche un ministro come Dario Franceschini, in questi giorni, va ripetendo a deputati e senatori del suo partito che «le insidie del voto segreto sono troppe» anche per Draghi.

Così c'è chi non perde le speranze: «Non ci sono alternative al Mattarella bis - dice Stefano Ceccanti al Foglio - questo Parlamento non è in grado di indicare un altro nome», e se le votazioni si incartassero per Mattarella «sarebbe difficile» dire ancora di no. Quanto a una candidatura Draghi, anche il costituzionalista dem non nasconde il suo scetticismo: «I parlamentari non lo votano al buio senza sapere cosa succede al governo, con il rischio di una crisi istituzionale. Se Draghi o chi per lui sono in grado di spiegarci chi lo sostituisce a Palazzo Chigi, questa possibilità diventa reale. Altrimenti non c'è».

Ad applaudire al «niet» di Mattarella, invece, è il governatore campano Vincenzo De Luca: «Un atto di grandissima responsabilità quello di dire in modo chiaro che il suo mandato è terminato». Ma De Luca, che sarà uno dei grandi elettori regionali, non nasconde la preoccupazione per quel che accadrà ora: «Che Dio ce la mandi buona».

Nel centrodestra l'esclusione del bis al Colle viene accolta con sobria soddisfazione, perché toglie dal tavolo una variabile che avrebbe condizionato pesantemente i giochi che, stavolta, sono possibili dopo anni di «egemonia» della sinistra sul Colle. «Rispetto la scelta di Mattarella - dice Matteo Salvini - Stiamo lavorando per un presidente che rappresenti tutti, e per evitare che sia proprietà del Pd».

Giorgia Meloni ribadisce che «Berlusconi è la nostra prima scelta», e se il centrodestra fosse compatto nelle prime votazioni sul nome del Cavaliere (che a detta del sondaggista Masia è il più forte numericamente, insieme all'ipotesi Draghi), il centrosinistra non saprebbe neppure chi contrapporgli come candidato «di bandiera».

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