Il Pd spera ancora nei 5S ma intanto prepara le liste

Tra i dem non si scioglie l'ambiguità sugli alleati "Non è finita, Conte non rappresenta il partito"

Il Pd spera ancora nei 5S ma intanto prepara le liste

«É il momento della serietà, non del salto nel buio: il costo della crisi sarebbe rovinoso», proclama a sera il Pd in un post su Twitter in cui si elencano le cose che «rischiano di andare in fumo»: Pnrr, agenda sociale, riforma della concorrenza e quant'altro. Nel frattempo, però, si convoca per lunedì al Nazareno una riunione per prepararsi alle elezioni (e alla formazione delle liste). Ci si accapiglia con Lega e Forza Italia, che accusano il Pd di «dividere» la maggioranza con le loro proposte su ius scholae e legalizzazione della cannabis (Enrico Letta manda le capogruppo Malpezzi e Serracchiani al contrattacco: «Ci fate la morale voi che siete alleati con la Meloni che sta all'opposizione»). E si scommette - «ci stiamo lavorando» - su una prossima ennesima scissione dei Cinque Stelle, con i governisti («Saranno almeno 10 alla Camera e 10 al Senato», assicurano dal Pd) che mollano Giuseppe Conte. Dal quale però non si prendono ancora apertamente le distanze: «Il M5s è inaffidabile? Prima di dare patenti vediamo come va a finire questa partita», dice il ministro Andrea Orlando. Come se quel che si è visto finora non fosse più che sufficiente. Del resto lo stesso Orlando, nelle scorse ore, aveva adombrato (in linea con Cgil, Anpi, Leu e compagnia cantante) che ci sia una responsabilità del premier nella crisi, perchè troppo «rigido» nel respingere i demenziali tentativi contiani di imporre agende sconclusionate all'esecutivo.

La linea del Pd, insomma, non è chiarissima. «Spero che mercoledì i Cinque Stelle siano della partita» per rilanciare il governo, dice Enrico Letta. «Ma chi l'ha detto che Conte rappresenti i Cinque Stelle?», replica la capogruppo al Senato Malpezzi ai senatori che le chiedono cosa si aspetta a rompere apertamente, nel nome di Draghi, con un partito che «non esiste più in natura», dopo le inverosimile contorsioni di questi giorni. Come se invece un'eventuale fuoriuscita di Patuanelli, D'Incà e Pinco Pallino potesse convincere Draghi che vale la pena di continuare a spremere sugo dalle rape che ha davanti.

«Letta ha capito che non ci sono più margini e a questo punto pensa solo a farsi le sue liste elettorali, accreditandosi come competitor di Meloni», dice un'esponente di governo dem. Il pasticciaccio siciliano è una efficace metafora della confusione politica del Pd: il 23 Pd e M5s contiano faranno insieme le primarie per il candidato governatore. «Ma bisogna distinguere tra dimensione regionale e alleanza nazionale», è la spiegazione del vicesegretario Pd Provenzano a chi prova a ricordare ai vertici che la situazione è paradossale, proprio mentre M5s silura Draghi («Lo sfonnamo», per usare l'eloquio da Suburra di Paola Taverna) e manda più o meno esplicitamente a quel paese il Pd. «Va beh, ma tanto la candidata grillina non vincerà mai le primarie», quindi poco male, si sono sentiti rispondere. Cioè si tiene in piedi l'alleanza, nella speranza di non far fallire le primarie e di intercettare qualche voto in libera uscita dai 5S, ma poi ci si riserva di dire: ma chi li conosce, questi. Sottovalutando forse il fatto che questo continuo stare col piede in due staffe - un po' con Conte per ragioni di partito, un po' contro Conte per ragioni di stabilità - da parte del Pd, che dovrebbe essere uno dei partiti più responsabili della compagine governativa, è uno dei tanti elementi che fanno pensare al premier che non ci sia «il livello di concretezza e responsabilità» che il momento richiederebbe, al posto del «tatticismo» sfrenato e miope che emerge dalle forze politiche.

«Abbiamo continuato a legittimare Conte e i suoi come seri e legittimi interlocutori e alleati politici, imbarcandoci in demenziali mediazioni per convincere Draghi a concedergli zuccherini, garantendogli che così quelli si sarebbero comportati da statisti responsabili, e poi di fronte al loro manicomio abbiamo alzato le mani: 'noi non c'entriamo'. Non si fa così», si sfoga un esponente riformista del Pd.

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