Anno nuovo, problemi vecchi: il Pd si risveglia nel 2022 con l'ombra lunga dei baffi di D'Alema a indicare il sole dell'avvenire. Il già Lìder Massimo ha speso i suoi auguri di Capodanno su Zoom per «ricucire» lo strappo tra Dem e Articolo Uno, aprendo le porte al rientro della «Ditta» al Nazareno. Ma il passo avanti verso la reunion tra Pd e la vecchia classe dirigente ha fatto più male che bene al partito di Letta, già alle prese con i mal di testa da toto-Quirinale e con le scelte da prendere in una partita che il segretario sembra voler giocare con Draghi, ma circondato dalla perplessità di larga parte del suo stesso partito, in discreta confusione. Tanto che il segretario finge di irritarsi con Baffino per frenare, in vista del voto sul Colle, il malcontento diffuso nel partito, che esplode con l'uscita di D'Alema.
Ecco, appunto. D'Alema, per fare la pace, non trova di meglio che rispolverare il casus belli che aveva portato via lui, Bersani e la vecchia guardia dal Pd guidato da Renzi. Infatti proprio all'ex segretario Baffino rifila una stoccata perfida: «La principale ragione per andarcene era una malattia terribile che è guarita da sola, ma che c'era». Il virus in questione, nemmeno a dirlo, è il renzismo, traslocato nel frattempo in Italia viva insieme all'ex sindaco di Firenze. Che replica col solito sarcasmo, prima spiegando in un'intervista al Messaggero di voler fare «fervidi auguri» ai «dem di oggi» se «pensano che il renzismo sia la malattia e D'Alema sia la cura». E ancora ieri, su Facebook, pubblicando un post polemico: «D'Alema scrive Renzi - rientra nel Pd dicendo che chi lo ha portato al 40%, a fare le unioni civili, ad avere l'unico governo con la parità di genere, a creare più di un milione di posti di lavoro è un MALATO. Sono parole che si commentano da sole. Un pensiero a chi è malato davvero, magari nel letto di un ospedale. E un abbraccio a chi sognava il partito dei riformisti e si ritrova nel partito dei dalemiani».
Il problema è che oltre a Renzi anche buona parte del Pd non ha affatto gradito l'uscita e le parole di D'Alema. A cominciare da fedelissimi dell'ex segretario rimasti nel Pd come Andrea Marcucci, per il quale l'unica malattia del Pd è stata «la difesa a oltranza della Ditta», e Filippo Sensi, che ha bollato come «offensiva e sbagliata la metafora dalemiana», e fino a Dario Stefàno e i riformisti. Lo stesso Letta si è visto obbligato a fingere di irritarsi con D'Alema. E a difendere il Pd come «unica casa dei democratici e dei progressisti» anche nei tre anni nei quali a guidare il partito era il suo rivale Renzi. «Nessuna malattia e quindi nessuna guarigione», ha ringhiato Letta su Twitter, traducendo così l'irritazione dei vertici Dem per la frecciata dell'ex premier.
Più una ferita che una ricucitura, insomma. E considerando il difficile momento che si vive al Nazareno alla vigilia della partita del Colle, la gaffe di D'Alema potrebbe non essere limitata ai confini della battutaccia sulla «malattia», visto che l'ex premier, a margine del brindisi, ha pensato bene di attaccare proprio l'ipotesi Draghi, definendo «non adeguata» l'autocandidatura al Colle del premier in carica e spendendosi per il «ritorno in campo della politica» proprio in occasione dell'elezione del nuovo capo dello Stato.
Il tutto proprio mentre filtravano le notizie dell'incontro di fine anno tra Letta e Draghi, con il segretario Pd che avrebbe scelto di puntare sul premier in carica come nome per fugare il rischio di un presidente scelto da una maggioranza ristretta. Ma D'Alema, prima ancora di tornare «a casa», nel Pd, rischia già di guastare i piani al suo segretario.
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