Pechino schiera la super portaerei. A Taiwan scatta la massima allerta

Il video dell'esercito di Xi: "Pronti alla battaglia". Taipei: "Preparati a rispondere se necessario"

Pechino schiera la super portaerei. A Taiwan scatta la massima allerta
00:00 00:00

Accade nelle stesse ore in cui un pubblico civilissimo e gentile, ben disposto verso il mondo esterno e i frutti della globalizzazione, applaude il nostro campione Jannik Sinner vincitore del torneo di tennis di Shanghai. Il dittatore maoista cinese Xi Jinping manda la portaerei Liaoning «in assetto da combattimento» verso il Pacifico occidentale, la rotta prescelta attraversa il canale Bashi a sud dell'isola di Taiwan e provoca «massima allerta» presso le autorità militari di Taipei. Il timore di un attacco alla piccola Repubblica amica dell'Occidente - che Pechino definisce «ribelle» e che Xi minaccia da anni di annettere con le buone o con le cattive non è infondato, anche perché contemporaneamente attorno a Taiwan si sono materializzate decine di aerei e navi da guerra con la stella rossa della Repubblica Popolare.

Sono i due volti della Cina di oggi: un popolo volentieri abituato ai costumi (e ai lussi, che ormai tanti cinesi si possono permettere) del mondo occidentale e un governo la cui ideologia non solo confligge con quello stesso mondo, ma spinge l'intero immenso Paese verso un confronto sempre più minaccioso con esso. Xi ha stretto un'alleanza, definita «ferrea e senza limiti», con la Russia di Vladimir Putin e i due non fanno mistero anzi, ostentano ormai apertamente di voler unire le loro forze, insieme con quelle di altri poco raccomandabili soci come l'Iran e la Corea del Nord, per sovvertire gli attuali equilibri internazionali e costituire un nuovo ordine mondiale guidato da autocrazie come le loro. A farne le spese, è ovvio, sarebbero gli Stati Uniti e i loro alleati in Occidente e altrove Estremo Oriente incluso.

Taiwan, che nonostante le piccole dimensioni rappresenta un modello di «altra Cina» che per Xi è fumo negli occhi esattamente come l'Ucraina lo è per Putin, è il prossimo bersaglio dichiarato dell'espansionismo di Pechino. Il dittatore rosso sostiene la grande menzogna della necessità storica del «ritorno alla patria socialista» di un'isola che alla Cina non è mai appartenuta, anche se sono cinesi di stirpe la quasi totalità dei suoi 24 milioni di abitanti. A nulla vale che i taiwanesi, salvo una sparuta minoranza, non intendano farsi invadere e tanto meno governare dai comunisti della terraferma: per Xi conta solo la legge del più forte, la stessa che è stata brutalmente applicata in piazza Tienanmen a Pechino nel 1989 contro una giovane generazione che sognava diritti e libertà e, più di recente, per soffocare gli analoghi aneliti dei cittadini di Hong Kong.

A rischiare di diventare le vittime di questa «politica delle cannoniere» di guglielmina memoria non sono però soltanto i vicini del colosso cinese.

L'esplodere della crisi taiwanese, data per certa da qui a pochi anni man mano che la potenza militare di Pechino si accrescerà, rappresenterebbe l'apertura del terzo fronte della guerra all'Occidente inaugurata da Putin in Ucraina e proseguita dall'Iran e dalle milizie sue alleate in Medio Oriente. Un conflitto mondiale che ci sorprenderebbe magari coi popcorn in mano mentre guardiamo in televisione un bel torneo di tennis in Cina, ignari o dimentichi del suo volto minaccioso e oscuro.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica