Ieri alla Knesset, il Parlamento israeliano, abbiamo contato una ventina di standing ovation dell'assemblea e una protesta durissima di un gruppo parlamentare. E anche se molti media si sono affannati a descrivere il successo del vicepresidente americano Mike Pence come un abbraccio fra destre, quella del governo di Netanyahu e quella dei repubblicani di Trump, gli applausi a scena aperta sono pervenuti dai banchi del governo e dell'opposizione. Un vero amico per Israele è importante fino a essere commovente dopo gli anni duri di Obama; ed è fondamentale in una continua lotta contro la delegittimazione e la criminalizzazione non solo da parte dei palestinesi ma di molti Paesi musulmani e spesso anche europei che un amico ti stimi apertamente. È una vera spinta alla pace. Invece non è un caso che nelle stesse ore, come in una commedia su un palcoscenico girevole, Abu Mazen abbracciasse la Mogherini un po' imbarazzata, chiedendo che l'Europa proclami lo Stato Palestinese. Ma senza successo.
Chi ha protestato duramente alla Knesset, con una scena che ricordava il Parlamento italiano, sono stati i tredici parlamentari della Lista Unita araba: hanno tirato fuori dei cartelli con la scritta «Gerusalemme è la capitale della Palestina». I commessi li hanno buttati fuori a spintoni, ma di nuovo la minaccia delle ultime ore di un boicottaggio serio, memorabile, è svanito come quello di una Intifada all'indomani dell'8 dicembre, quando Trump dichiarò Gerusalemme capitale di Israele.
Pence ha una faccia e una voce da attore cinematografico, è un classico americano impregnato dell'identità di cristiano, un evangelico del diciottesimo secolo, pieno di sentimento e di volontà didattica. Si sa che dietro la decisione di Trump su Gerusalemme c'è stato sempre lui: e che diamine, Gerusalemme è degli ebrei, lo dice senza dubbio la sua Bibbia. Ieri ha detto che l'America ha avuto l'onore di riconoscere per prima lo Stato d'Israele, ma c'era una grave mancanza: Gerusalemme! E ora la falla è stata ripianata. Dunque, l'ambasciata sarà trasferita entro la fine dell'anno prossimo. Ma l'amministrazione Trump non ha abbandonato l'idea, nonostante l'ira di Abu Mazen, della pace, di due Stati per due popoli, di negoziati diretti fra israeliani e palestinesi, e qui ha alluso alla necessità che i palestinesi almeno ascoltino che cosa propongono gli americani; infine ha anche promesso che l'Iran non avrà mai la bomba: «L'accordo è un disastro, e gli Stati Uniti non lo certificheranno... a meno che non venga modificato». Pence ha descritto col tono e l'espressione oltre che con le parole il sentimento che lo lega e che lega gli Usa a Israele, alla difesa della sua sopravvivenza, l'ammirazione per la sua democrazia e per la rinascita del popolo ebraico dopo la Shoah. È stata una specie di distillato del significato che può avere nella vita del mondo occidentale tenere per questo piccolo Paese. Trump non può esprimerlo come Pence, che nella Bibbia legge, alla lettera, la storia del presente e del futuro, e che ritiene suo dovere difenderne la civiltà. Nel disegno di Pence gli incontri dell'altro ieri con Al Sisi d'Egitto e domani con il re della Giordania Abdullah sono molto importanti per la strategia americana, che affida ai due personaggi anche il ruolo essenziale di rimettere in piedi un processo di pace che si basi sull'interesse a mantenere la stabilità contro l'aggressività dell'Iran e dei suoi alleati. Ad Amman Pence potrà annunciare un accordo per un miliardo e mezzo di dollari l'anno, anche con l'Egitto si è certo parlato della rinata alleanza economica. Un grande successo alla Knesset deve avere come contrappasso una rinata amicizia coi Paesi sunniti moderati.
Pence ha concluso il suo discorso con una benedizione ebraica che si dice ogni volta che si incontra una persona cara, si mangia di nuovo un frutto al suo ritorno dopo il ciclo naturale: «Ad aprile si celebrano 70 anni dalla nascita di Israele.
Mentre vi preparate per lo storico evento io qui con la brava gente d'Israele voglio dire shehecheyanu, sii benedetto Dio, re del mondo, che ci hai dato la vita, ci hai sostenuto, ci hai permesso di arrivare a questo giorno». Gli occhi di Pence erano lucidi di emozione, come quelli di tutta l'assemblea.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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