A Dien Bien Phu l'aviazione non salvò i parà francesi accerchiati dai vietnamiti. In Cambogia i bombardamenti dei B52 non fermarono i Khmer Rossi. In Afghanistan gli F16 non hanno impedito il ritorno dei talebani. Ormai dovremmo averlo capito. E gli americani più di noi. I raid aerei, come dimostrano i missili che domenica hanno ucciso tre marinai di una nave greca in navigazione davanti a Aden, stentano a stroncare una milizia Houthi ben radicata sul territorio yemenita, forte dell'appoggio popolare e sostenuta dall'alleato iraniano.
La forza originaria dei miliziani Houthi, che dal 2014 controllano la capitale yemenita di Sana'a, è rappresentata dalle ancestrali roccaforti montagnose al confine settentrionale con l'Arabia Saudita. Lì ogni villaggio è una fortezza e lì sono celati i più consistenti depositi di armi e missili. Fuori da quelle montagne i 20mila miliziani yemeniti fedeli ad Abdul-Malik al-Houthi possono contare, invece, sul sostegno dei Guardiani della Rivoluzione iraniani e dei combattenti libanesi di Hezbollah. Dagli emissari del Partito di Dio gli Houthi hanno appreso le tecniche di costruzione dei tunnel messe all'opera in Libano e a Gaza. Già nell'ottobre del 2014 i sauditi fecero saltare una galleria che permetteva agli Houthi di infiltrare il loro territori partendo dalle regioni settentrionali di al-Khudeida. Negli anni successivi i tecnici di Hezbollah e le attrezzature fornite dall'Iran hanno permesso la costruzione di una rete sotterranea sia a Sana'a sia nelle zone costiere. I tunnel della capitale garantiscono la sicurezza dei vertici del movimento, ospitano i consiglieri militari di pasdaran ed Hezbollah e custodiscono ingenti arsenali. Gran parte dei missili antinave di fabbricazione iraniana sono celati però nelle gallerie costruite nei porti e nelle zone costiere da cui partono gli attacchi alle navi commerciali.
Stando a quanto osservato durante una parata militare del 2022 tra le testate anti-nave vi sono i missili Qader con un raggio di 200 chilometri e i Khalij Fars e Fajr 4CL capaci di colpire fino a 300 chilometri. Secondo le fonti di Sheba, un agenzia d'intelligence online, i sistemi di lancio di questi missili sono posizionati su cassoni di camion coperti da teloni identici a quelli usati per i trasporti commerciali. Questo li rende difficilmente identificabili fino all'accensione dei reattori. Da quel momento a navi e caccia bombardieri anglo-americani restano pochi minuti per identificarne la traiettoria. Nel caso dei droni, il cui volo è più lento, i tempi si allungano, ma le ridotte dimensioni e la struttura in vetro resina ne rendono comunque difficile l'individuazione sul radar. L'identificazione degli obiettivi sul terreno è invece resa complessa dai falsi bersagli disseminati sul territorio e dal trasferimento di molte unità lanciamissili in aree urbane densamente popolate.
Nonostante i raid aerei anglo-americani e il via libera alla missione europea Aspides, la distruzione delle infrastrutture Houthi e la riapertura del Mar Rosso ai traffici commerciali restano dunque due partite dai tempi e dagli esiti assai incerti.
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