La riforma sulla Giustizia deve marciare a ritmo rapido: il premier Mario Draghi ed il ministro Marta Cartabia non hanno intenzione di cedere centimetri per strada. Sono i granelli della clessidra ad imporre velocità. L'atteggiamento del MoVimento 5 Stelle rischia però d'inficiare proprio sulle tempistiche. Perché a Giuseppe Conte ed ai suoi può andar bene anche il ritmo andante.
Siamo arrivati a quasi mille emendamenti presentati da parte grillina. Certo, si direbbe che sono le logiche della politica parlamentare, che è successo spesso. Però, in questo caso, la posta in gioco è troppo alta per inabissare di carta e suggestioni il provvedimento: c'è il Recovery Fund come sottofondo, ossia lo strumento principe della "ripartenza". L'Unione europea continua ad inviare segnali la cui espressione chiave è "urgenza". Siamo in una morsa, ma la via d'uscita c'è.
Sempre che Giuseppe Conte non decida di costringere il Paese a traccheggiare. E allora sembrerebbe quasi scontato sentir parlare di fiducia da parte dell'esecutivo. L'ex premier giallorosso e gialloverde sta giocando la sua di partita. Quella per rivendicare una leadership piena in seno al MoVimento 5 Stelle. La stessa che può servire a non perdere troppi consensi a sinistra.
La ratio dello sgomitare di queste ore può essere ascritta a quella strategia. Il "patto della spigola" è stato siglato, ma sembra che gli strascichi la facciano da padrone: Beppe Grillo e Conte sulla Giustizia sembrano avere atteggiamenti diversi. La Giustizia - dicevamo - mal si presta al calcolo politico, soprattutto in tempi pandemici, ed alle beghe di partito.
Il professor Alfonso Celotto, costituzionalista di chiara fama sentito in merito da ilGiornale.it, taglia subito a corto: "Il problema della Giustizia in Italia è molto grave - premette - . Da noi un processo dura in media sette anni, mentre in Francia ne dura tre. Lo dice tutta una serie di statistiche. Sono dati impressionati. Sappiamo che abbiamo circa due milioni di processi pendenti, dunque c'è bisogno di una soluzione drastica".
Il professor Celotto ripete alcuni mantra del pensiero giuridico che dovrebbero essere dati per assodati, come ad esempio "certezza del diritto" e "credibilità". Quindi, insistiamo? "Quindi una Giustizia efficiente ce la 'chiede l'Europa', ma serve in primis a noi". Sì ma, a questo punto, facciamo notare la tattica grillina, pure dinanzi a statistiche lapalissiane, l'alzare la posta e tutto quel che ne consegue: "Guardi, esiste una vecchia tecnica della politica che si chiama 'benaltrismo'. Come se fosse sempre meglio 'ben altro'. Mi pare di poter dire che sulla Giustizia siamo arrivati ad un punto di non ritorno". Il rimandare non è ben visto dal professore.
Cioè? "Cioè la Giustizia funziona troppo male. Abbiamo bisogno - rimarca il docente - di una modifica, dunque siamo nella condizione di dover accettare una riforma". Poi sul progetto Draghi-Cartabia si potrà discutere, perché si potrebbe fare altro, e tutto è perfettibile - fa presente il professore -, ma è una "buona riforma" ed è anche "condivisa". Poche chiacchiere e tirare dritto.
Celotto non vuole essere "benaltrista" a sua volta. Questa riforma interviene per lo più sulle tempistiche dei processi, poi, fa presente il costituzionalista, si potrebbe intervenire sul numero: "Forse dovremmo trovare soluzioni alternative per non portare alcune vicende in Tribunale. Abbiamo cause che riguardano persone che litigano per come si stendono i panni. Sono cause che restano pendenti per vent'anni ed arrivano in Cassazione". Un passo per volta, dunque, ma intanto mettere mano alle tempistiche serve eccome.
Questo per il civile.
Per il penale, il professor Celotto invoca una diminunzione del numero delle sanzioni ed una razionalizzazione dei reati, ma ci sarà tempo, in caso, per tutto. Intanto segnare un punto: questo è l'obiettivo che l'esperto ha individuato. Che forse è lo stesso del premier Mario Draghi e del ministro Marta Cartabia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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