Il tentativo militare di defenestrare il presidente che voleva diventare Sultano è fallito. Perché il colpo di stato non è riuscito? Lo abbiamo chiesto a Edward Luttwak, esperto di geopolitica e autore di Coup d'Etat: A practical handbook (Harvard University Press), fresco di riedizione con un capitolo dedicato allo scenario di un possibile golpe nella Turchia di Erdogan.
Un evento, dunque, prevedibile.
«Già da marzo si rincorrevano le voci di un potenziale golpe. Il malcontento verso la presidenza Erdogan è palpabile in diversi strati del regime, inclusa una parte dell'esercito fedele all'impostazione laica di Ataturk, il padre della patria».
Alla fine i militari sono stati costretti alla resa.
«I golpisti hanno violato la regola numero due perché un golpe riesca: le forze in grado di opporsi devono essere immobilizzate o trovarsi lontano dall'epicentro (per questa ragione la base dell'esercito saudita è distante dalla capitale). Invece a Istanbul, man mano che le ore passavano, le forze turche fedeli al presidente hanno avuto gioco facile a ingrossare le fila piegando l'insurrezione».
E la regola numero uno?
«Il capo del governo deve essere catturato o ucciso. Il golpe non riesce se lui resta a piede libero, in grado di incitare alla resistenza, proprio lui che ha sempre represso le manifestazioni di piazza, per giunta con un messaggio su Facetime, da noto censore di social network qual è. È il grande paradosso di questa vicenda».
Gli Usa hanno chiesto «pace e stabilità» per l'alleato Nato. «Erdogan è allergico alla democrazia di cui lo stato di diritto e il rispetto delle libertà individuali sono un corollario fondamentale. Tuttavia il suo mandato deriva dal suffragio popolare. Un altro focolaio di instabilità è da scongiurare».
La deriva islamista della Turchia è inarrestabile?
«Il piano di Erdogan è chiaro: la Turchia deve diventare, nella sua visione, una repubblica islamista. Negli appuntamenti pubblici lui compare in abiti sartoriali occidentali, la moglie ha il capo coperto. Ha chiuso i licei pubblici in modo da dirottare i giovani turchi verso le scuole islamiche, ha introdotto severi divieti anti-alcol, ha convertito i più importanti musei in moschee, ha fatto costruire luoghi di culto musulmani persino nei campus universitari dove un tempo indossare il velo era proibito».
Pubblicamente la comunità internazionale lo sostiene.
«Ironia della sorte, il presidente Obama, la cancelliera Angela Merkel e l'Alto rappresentante dell'Unione europea Federica Mogherini lo hanno difeso appellandosi alla democrazia...Ma Erdogan è lo stesso che ha fatto arrestare diversi giornalisti non allineati, ha ordinato la chiusura di Zaman, importante quotidiano turco, per non parlare della subdola torsione del sistema turco in senso presidenziale».
Che intende?
«Il regime turco è di tipo parlamentare. Erdogan, aspirando a diventare sultano ma senza la maggioranza parlamentare necessaria per emendare la Costituzione, ha scelto dei primi ministri servili, pronti a eseguire i suoi ordini. Ha rafforzato la consuetudine di riunire il governo nella sua residenza personale, un palazzo mastodontico, con mille stanze, costruito per giunta in una riserva naturale».
Che cosa prevede per il day after?
«Erdogan è isolato, vittima dei propri errori. A livello interno ha riaperto la guerra contro i curdi, un conflitto che costa la vita a molti soldati ogni giorno e che potrebbe cambiare i confini del paese dal momento che i curdi sono una netta maggioranza nelle province orientali».
La stabilità è di là da venire.
«L'unica certezza che abbiamo è che la deriva islamista proseguirà. I sunniti che appoggiano Erdogan escono rafforzati. L'Occidente assiste inerme».
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