Persino Conte ha dubbi sul Ter. "Sarei debole e sotto ricatto"

Il premier uscente tace da giorni, ma in privato ammette le difficoltà anche se si arrivasse all'intesa con Renzi

Persino Conte ha dubbi sul Ter. "Sarei debole e sotto ricatto"

Da giorni, Giuseppe Conte si è chiuso in un silenzio tanto tombale quanto inusuale a un premier che ha fatto delle conferenze stampa in prime time e a reti unificate la misura della sua comunicazione. Lo impone il momento, mai così difficile. E lo richiede il bon ton istituzionale, perché se Roberto Fico sta facendo valere il suo incarico esplorativo per trovare una quadra sul nome del premier uscente, l'unica cosa che deve fare Conte è attendere pazientemente. E, soprattutto, silenziosamente. Qualunque mossa, infatti, rischierebbe di compromettere un equilibrio già precario e nel quale Matteo Renzi ha messo più volte la comunicazione di Palazzo Chigi sul banco degli imputati. Al punto che non è un mistero che tra i nomi non graditi al leader di Italia viva ci sia anche quello del portavoce del premier Rocco Casalino.

Un Conte che, al di là della scelta consapevole di sospendere per qualche tempo le comunicazioni con l'esterno, è ben consapevole di quanto la situazione si sia fatta complicata. Il reincarico che si attendeva da Sergio Mattarella - e che dava per scontato anche il Pd di osservanza zingarettiana - non è infatti arrivato. Ed è evidente che il mandato esplorativo al presidente della Camera ha di fatto ridimensionato il suo ruolo. Perché mentre i capigruppo di maggioranza si riuniscono nella sala della Regina di Montecitorio per confrontarsi tutta la giornata sul programma del futuro governo, Conte non c'è, messo in «castigo» dallo strappo di Renzi. Con il quale, anche si dovesse trovare un punto di caduta in queste poche ore, il rapporto resterebbe irrimediabilmente compromesso. Lo sa bene Conte, che in questi giorni ha confidato in privato i suoi dubbi a più di un interlocutore. «A questo punto - è il ragionamento del premier dimissionario - la cosa migliore sarebbero le elezioni anticipate, anche perché se pure si riuscisse a ricucire con Renzi mi ritroverei comunque indebolito e sotto il costante ricatto di Italia viva». Scenario possibile, al quale non sembra credere granché Dario Franceschini. Il capo delegazione dem nel Conte 2 e ministro uscente dei Beni culturali, infatti, in privato va ripetendo che «la distanza con Matteo è incolmabile» e che lui «continuerà ad alzare l'asticella finché il Pd non potrà che dirgli di no».

Se ha ragione Franceschini oppure i rumors che per tutta la giornata di ieri hanno soffiato nelle vele del Conte ter lo scopriremo già stasera, al massimo domani. Fico, infatti, è atteso al Colle nel pomeriggio e dovrà dire a Mattarella se la maggioranza ha trovato o no una mediazione. Al massimo, potrà chiedere una proroga di 24 ore, se davvero pensa che l'intesa sia a un passo. Cosa che a ieri sera non era di facile comprensione. Se il tavolo di confronto a Montecitorio sembra andare a rilento - con Renzi che rilancia improbabili commissioni bicamerali sulle riforme e sul Recovery plan e rimette sul tavolo il famigerato Mes - pare che invece le diplomazie parallele vadano trattando più velocemente sulla futura squadra di governo del Conte ter. Questo, almeno, dicono da Pd, M5s e Leu. E nonostante Renzi abbia chiesto la testa del Guardasigilli Alfonso Bonafede e del titolare dell'Economia Roberto Gualtieri. Pressing su cui trova una discreta sponda nei vertici dell'apparato statale, visto che capi di gabinetto e del legislativo di quasi tutti i ministeri non gli hanno ancora perdonato la prima formulazione del Recovery plan, arrivata a novembre scorso su 16 sparute paginette.

Insomma, nonostante il mood veicolato ieri lascerebbe pensare che il barometro propenda per il Conte Ter, l'impressione è che la situazione sia ancora piuttosto ingarbugliata. E - esattamente come venerdì scorso quando Mattarella ha dato l'incarico a Fico - completamente nelle mani di Renzi.

Che nelle sue numerosissime conversazioni riservate continua a dire di voler andare fino in fondo e di puntare alla «soluzione Draghi». Ieri lo ha ripetuto nell'ennesima telefonata avuta in queste ultime due settimane con Matteo Salvini. Ormai, quello con il leader della Lega è diventato quasi un appuntamento quotidiano.

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