Senza bombardamenti né morti, con i pozzi al sicuro, i prezzi del petrolio sono crollati ieri fino a un massimo del 30%. Come ai tempi della guerra del Golfo. Il mancato accordo fra Arabia Saudita e Russia sulla riduzione di 1,5 milioni di barili al giorno della produzione ha fatto da detonatore a un «libera tutti». Basta vincoli, finiti i tempi dell'output contingentato e del rispetto delle quote per stabilizzare le quotazioni. Adesso è il momento dell'anarchia produttiva, la peggiore delle opzioni nel momento in cui il mondo, l'economia globale e i mercati finanziari sono tenuti in ostaggio dal coronavirus. Le quotazioni dell'americano Wti, in picchiata fino a 27,3 dollari (in serata recupero a 34,5), e quelle del Brent del Mare del Nord (da un minimo di 31,30 a 37 dollari) hanno offerto la plastica rappresentazione del caos che si è creato in una manciata di giorni. Non appena si è vista voltare le spalle da Mosca, per nulla convinta della necessità degli ulteriori tagli produttivi prospettati venerdì scorso, Ryad ha deciso di giocare il tutto per tutto. Con l'obiettivo di recuperare quote di mercato, il Regno ha subito annunciato uno sconto di ben otto dollari alla clientela europea sul suo Arab Light. E ora, il principe ereditario Mohammed bin Salman è pronto alla mossa da scontro finale: pompare più greggio. Da questo punto di vista, i sauditi hanno ampi margini di manovra. In teoria, possono arrivare dai 9,7 milioni di barili prodotti attualmente fino a 12,5 milioni, la capacità limite. Ma i russi non staranno a guardare. Già stanno estraendo a ritmi inferiori di appena 130mila barili rispetto ai massimi, e il ministro dell'Energia, Alexander Novak, ha fatto sapere che «dal 1° aprile inizieremo a lavorare senza badare alle quote o alle riduzioni che erano in atto in precedenza». Più che una minaccia.
L'intesa fra Opec e Opec+, cioè gli 11 Paesi produttori esterni al Cartello, è saltata. E ora, tutti, cercheranno di salvarsi, aumentando l'offerta. Con la concreta possibilità di affogare in un mare di petrolio malgrado l'Aie abbia avvisato che la domanda globale di greggio dovrebbe contrarsi quest'anno per la prima volta dal 2009.
«L'Arabia Saudita e la Russia stanno discutendo sul prezzo e sul flusso di petrolio. Questa, e le notizie false, è la ragione della caduta del mercato!», il commento di Donald Trump. Preoccupazioni legittime.
E non solo per l'effetto fortemente negativo che la caduta del petrolio ha su Wall Street e sui mercati azionari, ma anche per le ripercussioni sull'industria dello shale oil americano, dove i costi di estrazione sono molto più elevati. Per tutti noi, il rischio è ora duplice: recessione con deflazione incorporata.
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