Le vittorie annunciate della destra in America e in Europa sono una minaccia per le democrazie, come sostiene la sinistra, o possono schiudere una stagione di rinnovamento e di sviluppo? Dipende dalla destra.
Trump è il favorito, anche per la debolezza dei democratici ad esprimere un'alternativa edibile, ma nonostante questo è proprio Trump il suo più grosso ostacolo verso la riconquista della Casa Bianca. La sua politica viene rappresentata più per l'assalto a Capitol Hill che per ciò che ha fatto di buono o meno buono per gli americani e per i loro alleati. Certo le sue boutade elettorali aiutano la contro-narrazione, a cominciare dalla pressione sui membri NATO a mettere la difesa nella lista della spesa.
Anche in Europa il vento tira a destra, dopo che la guerra russo-ucraina ha messo a nudo la fragilità della nostra economia, minata dalle politiche energetiche ambientaliste della Commissione targata Merkel, inadatta a perseguire gli interessi europei. Come risultato abbiamo la Germania a guida rosso-verde in evidente difficoltà e le virate a destra registrate in Spagna, Olanda e Italia. Proprio sul governo Meloni la sinistra contava molto per presentare il voto a destra come foriero di involuzione e isolazionismo. Invece, e con disappunto, l'Italia ha confermato la sua posizione allineata e integrata nelle istituzioni europee e atlantiche. Così non è restato che tornare agli evergreen, Viktor Orban e Marine Le Pen, per dipingere i movimenti di destra come truci «anti-woke» pronti a calpestare i diritti, le organizzazioni sovranazionali e la globalizzazione.
Lo schema è chiaro, di qua e di là dell'Atlantico: instillare nei moderati oscillanti il timore che un voto a destra possa rappresentare una battuta d'arresto per le libertà civili e per il libero scambio, quasi l'anticamera dell'autocrazia. Una destra molto diversa rispetto a quella liberista incarnata da Reagan e Thatcher, le cui politiche peraltro nelle nostre socialdemocrazie non si sono mai viste. Questa equazione è sbagliata. La destra oggi può e deve sfuggire alla trappola di farsi identificare come demolitrice delle conquiste di civiltà e del libero commercio, posizionandosi invece come correttrice degli errori occorsi nella loro realizzazione.
Non è un mistero che alla Cina siano state di fatto consentite molteplici violazioni degli accordi sottoscritti al momento della sua adesione al WTO. Diventando di fatto la fabbrica del mondo, non ha rispettato le regole della concorrenza e del mercato, attuando un protezionismo spregiudicato in danno delle altre economie. In generale, la crescita dei Paesi emergenti ha prodotto sui mercati occidentali il fenomeno del low cost che, in apparenza favorendo i consumi, nella sostanza ha messo fuori mercato la manifattura europea e americana. Così, mentre l'agricoltura godeva dei sussidi sia in America (Farm bill) che da noi (PAC, politica agricola comunitaria) e sorvolando sulle proteste recenti, l'industria veniva lasciata alla mercè dei mercati. In questo contesto, i ricchi diventavano più ricchi, la working class più povera e cresceva la pressione sulla middle class, i cui figli per la prima volta nella storia umana hanno prospettive di benessere inferiori a quello dei genitori. I cittadini, un po' alla volta, hanno collegato i puntini capendo che la politica aveva mancato di tenere il loro interesse al centro della globalizzazione.
Stessa musica sul fronte immigrazione.
Quando popolazioni meno fortunate arrivano nelle nostre opulente città entrano normalmente dal basso, cosicché ancora una volta sono le fasce meno agiate a dover fare spazio e convivere con i nuovi arrivati, alcuni dei quali finiscono nel giro della criminalità o semplicemente compiono atti efferati. Molti di essi sono di religione musulmana, che calata nelle società avanzate dell'Occidente mostra tutti i suoi limiti di rigidità rispetto a quella cristiana/cattolica, molto più flessibile e adattabile grazie alla confessione e al perdono. Se poi le frange fondamentaliste buttano anche giù un paio di Torri con chi ci sta dentro e ogni volta che prendi un aereo ti devi spogliare e buttare l'acqua e lo shampoo, la faccenda diventa vieppiù pelosa. Etichettato come razzismo, nella sostanza è disagio sociale che ritorna a galla in forma di insofferenza verso quelle politiche che promuovono la circolazione, e ci può anche stare, senza poi curarsi di governarla.
Questa analisi regge anche alla prova delle elezioni sarde. Il vento tira a destra? Sì, le preferenze sono aumentate e non possono essere oscurate dalla sconfitta sulla leadership, che invece conferma proprio la mancanza di una narrazione positiva come sostegno e attrazione per candidature solide e spendibili. È questa la lezione su cui Giorgia Meloni sta riflettendo? Certo è che l'affermazione che l'ha portata a Palazzo Chigi è un punto di partenza, non di arrivo, che va consolidato sia nei territori sia in Europa con persone di spessore. Per attirarle e sostenerle non basta far leva sulla reazione e sul disagio, ma occorre dare dignità di visione all'alternativa.
Per questo, e tornando al quadro generale, il voto a destra non può essere contro il progresso ma contro le promesse che conteneva e che sono state disattese. Valga per tutte quella sull'euro, per cui avremmo lavorato un giorno in meno e guadagnato come lavorando un giorno in più. La moneta unica non è in discussione, ma la sua realizzazione sì.
In questa campagna, la destra deve togliersi dall'angolo del sovranismo, dell'autarchia e della regressione sulle libertà civili dove la sinistra cerca di inchiodarla. Può farlo proponendo una terza via, che non metta in discussione il «cosa» ma il «come». Trent'anni fa veniva da sinistra, da Anthony Giddens e Tony Blair. Non era sbagliata, ma è stata realizzata poco e male.
L'errore della politica è stato averla enunciata e poi lasciata ai mercati, disinteressandosi proprio di quello a cui tutti gli altri partecipanti al torneo globale giocavano: i propri interessi sociali ed economici. Ma la sinistra liberal, ambientalista e woke ha giocato un'altra partita, ideologica, con la missione di cancellare ogni traccia della nostra cultura popolare, che pure ci aveva consegnato una qualità di vita mai vista. Eppure, nonostante la sua applicazione su scala globale stesse sconfiggendo la fame nel mondo, veniva ridotta a una serie di crimini storici da espiare, nella più perversa nemesi mai immaginata.
L'agenda della destra, in quest'ottica, dovrebbe essere questa: rifiutare le etichette di fascismo e trumpismo, facendosi paladina di libertà di pensiero nelle istituzioni, nelle università e nei media mainstream: rimettere al centro delle politiche economiche gli interessi dei cittadini, a cominciare dai più deboli, non fuori o contro le logiche del mercato ma dentro di esse; non cadere nella trappola «destra-uguale-ognuno-a-casa-propria» ma proporre un «noi-first-nel-mondo».
Perché la globalizzazione non esclude il sovranismo ma lo impone, come l'immigrazione impone una valorizzazione dei nostri costumi e della nostra cultura. I tuoi interessi e la tua identità li devi proteggere e affermare quando sei con gli altri, non quando sei da solo a casa tua.
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