Come in ogni storia grillina che si rispetti, non può mancare la teoria del complotto. Ed ecco che l'ombra della macchinazione si affaccia anche sul giallo dell'intervista del sociologo Domenico De Masi al Fatto Quotidiano. Il tutto dentro una spaccatura che, nell'universo pentastellato, non è solo parlamentare. Ma è la divaricazione tra due interpretazioni del grillismo in senso lato. Di cui Marco Travaglio e Giuseppe Conte rappresentano la faccia più ortodossa. Dall'altro c'è l'ex incendiario Beppe Grillo, che non vorrebbe abbandonare il governo di Mario Draghi. Torniamo quindi al Fatto, il perno attorno a cui ruota la telenovela delle rivelazioni di De Masi e dell'appoggio esterno a Draghi.
La teoria del complottone, la sinossi del draghicidio, la offre al Giornale un parlamentare del Movimento, una figura delle più esperte tra gli «ex ragazzi meravigliosi» di Grillo. «È evidente che c'è una congiura anti-Beppe portata avanti dai contiani con il supporto attivo del Fatto Quotidiano, l'intervista a De Masi è stato un modo per fornire a Conte l'assist per uscire dal governo», spiega il deputato a Montecitorio. Dunque - secondo i complottisti - qualcuno nella redazione di Travaglio avrebbe letto le dichiarazioni radiofoniche di martedì del professore di area M5s e quindi avrebbe deciso di telefonare allo stesso coordinatore scientifico della scuola di formazione grillina, più vicino a Conte che a Grillo. Da lì sarebbe partito il cortocircuito che stava provocando un incendio nell'esecutivo. Uno spartito di informazioni e indiscrezioni che i contiani avrebbero suonato durante tutta la tre giorni del Garante a Roma, almeno stando ai racconti degli stellati che non vorrebbero strappare con Draghi.
E così fonti anonime fanno filtrare l'apertura del padre nobile sullo scoglio dei due mandati, così come riferiscono alle agenzie di un Grillo disposto a valutare l'ipotesi dell'appoggio esterno. Il comico si ritrova a inseguire i retroscena. Smentisce prima le deroghe al doppio mandato, poi allontana le tentazioni del ritiro della delegazione ministeriale. Nel frattempo il quotidiano contiano detta la linea all'avvocato. Travaglio ieri spiega che i presunti messaggini e le telefonate di Draghi a Grillo «svelano la natura intrinsecamente e doppiamente golpista dell'operazione che nel febbraio 2021 ci regalò questo governo». Martedì 28 giugno il direttore stila il programma per il ContExit. Il M5s può recuperare elettori «se Conte li porta fuori dal governo, recupera Di Battista e la sua area, convince Grillo a un compromesso sui due mandati». Lo stesso giorno Andrea Scanzi ci mette il carico: «Di Battista, il duro, puro e cocciuto che serve a Conte». Gli attivisti si esaltano, i parlamentari, soprattutto i senatori, si giocano il tutto per tutto pur di uscire dal governo. Le solite malelingue stoppano il ritorno di Dibba. «Alessandro non torna perché metterebbe in ombra i vicepresidenti», spifferano dal Parlamento.
A proposito di vicepresidenti, c'è un altro giallo. Il post Facebook contro Grillo scritto da Paola Taverna mercoledì mattina. «Il Movimento non è tuo, noi siamo con Conte», scrive Taverna sul suo profilo all'indirizzo del Garante. Poi cancella, ha una crisi di pianto e caccia un collaboratore incolpandolo per l'errore.
Qui ci vengono in aiuto ancora i dubbi che covano tra gli eletti. «Quel post doveva essere pubblicato da una pagina Fan della Taverna gestita dal suo Staff, solo che hanno sbagliato», sibilano dai gruppi. Se fosse vero, sarebbe un altro tassello del draghicidio.
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