Il decreto che disegna l'impalcatura del Piano Mattei è arrivato in Parlamento e le opposizioni già lo liquidano come una scatola vuota. Un'accusa pleonastica visto che quello è solo il contenitore istituzionale di un piano destinato a proiettarsi nei decenni e a ridisegnare le nostre scelte economiche, energetiche e geopolitiche.
Dal Piano Mattei dipende la capacità dell'Italia di tornare potenza regionale a cavallo tra Europa, Mediterraneo ed Africa. Per questo Giorgia Meloni dovrà affidarlo a personalità scelte tra le «élite» bipartisan del nostro Paese, ma pronte a realizzarlo guardando all'interesse nazionale. Solo così il piano garantirà risultati commisurati a investimenti e tempi di realizzazione. Le difficoltà non mancheranno anche a causa degli errori del passato. Primi fra tutti quelli degli anni '70 e '80 quando la Cooperazione distribuiva appalti e posti di lavoro in Mozambico, Somalia ed Etiopia per conto di Pci, Psi Dc. Anni bui seguiti da un addio all'Africa dei primi anni 90 coinciso con la rinuncia ad ogni ruolo. Un trentennio di vuoto nel quale guerre, neo-colonialismo cinese e degrado economico hanno deformato gli assetti delle nostre zone d'influenza. Detto questo le ex-colonie, dove i più anziani rimpiangono l'Italia, dovranno essere le prime a tornare centrali. Certo non potremo competere con Pechino per prestiti o grandi opere. Ma potremo farlo nell'educazione, nella cultura e nell'imprenditoria. Riaprire le scuole italiane, insegnare chi ne esce a farsi imprenditore e professionista garantendo ai più promettenti l'accesso ad atenei e accademie militari italiane significa dar vita a classi dirigenti amiche. E bisogna a tornare in Mozambico dove nonostante molti errori abbiamo garantito la pacificazione. Anche perché Maputo è il cuore di una piattaforma energetica dove l'Eni avrà la meglio sui concorrenti solo nell'ambito di una cornice di collaborazione geopolitica ed economica vantaggiosa per entrambi i paesi. Ma sarà importante anche l'esperienza di gruppi come Avsi, Emergency o Medici con l'Africa che, aldilà delle impostazioni politiche, hanno garantito la presenza italiana in Africa. In proiezione futura dobbiamo orientarci verso quel Sahel dove i fallimenti francesi hanno lasciato la popolazioni, spesso cristiane, alla mercé dei jihadisti.
Sotto quella spinta si muovono i flussi migratori che attraversano Libia e Tunisia. Una presenza militare capace di addestrare le locali forze di sicurezza resta fondamentale per affermare il nostro ruolo. Ma servono anche centri di selezione in cui accogliere chi arriverà non sui barconi, ma sui voli della Farnesina per diventare manodopera qualificata per le nostre aziende. In Libia è inevitabile una stretta collaborazione con gli Usa per garantire stabilità e sviluppo economico al Paese e riprenderci il ruolo scippatoci dalla Turchia.
In Tunisia dobbiamo continuare a essere referente privilegiato collaborando al rimpatrio dei migranti in cambio del blocco delle partenze garantito dalla Guardia Nazionale del paese.
Nel suo insieme il piano Mattei rappresenta uno fra i più ambiziosi impegni geopolitici della «seconda repubblica». Un impegno a cui le opposizioni devono guardare cercando non la contrapposizione, ma la collaborazione. Nel nome del rilancio e dello sviluppo dell'Italia.
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