La fila di chaise-longue candide, distese sulla Darsena di Augusto, è girata verso il punto dove sorge il sole. In notti come queste, senza luna, guardare da qui, distesi nel nulla, la volta del firmamento può fare perdere. È uno spettacolo per pochi. Perché questa è Pianosa, dieci chilometri quadrati di terra in mezzo al Tirreno. Riserva integrale, ex carcere, di notte popolata solo di falchi, secondini, carabinieri, detenuti semiliberi. E di magistrati.
Benvenuti al Pianosa resort, club esclusivo per magistrati in possesso di alcuni requisiti. Primo: amare la vita semplice, in alloggi spartani, a contatto diretto con la natura. Secondo: essere considerati obiettivo a rischio, o almeno fare credere di esserlo. Terzo: non provare imbarazzo nel farsi le vacanze praticamente gratis in una struttura dove i comuni mortali non sono ammessi, col rischio di sottrarre spazi a gente meno abbiente, come il personale delle carceri. Per quanto bizzarro possa apparire, ad accumulare questi requisiti è un congruo numero di giudici e pubblici ministeri. Risultato: ogni anno, quando si apre il bando per l'assegnazione, il numero dei pretendenti supera ampiamente i pochi posti disponibili. E tra gli esclusi ogni volta partono il mugugno e le dicerie.
Questa storia del resort di Pianosa ronzava da tempo nell'aria, troppo bella per essere vera. Per venirne a capo è stato necessario fare un sacco di telefonate e di saltafossi con la sensazione precisa che nessuno avesse troppa voglia di parlarne. Perché è pur vero che non vi è nulla di illegale, e che tutta la materia è regolata da un decreto (per l'esattezza il 314/2006). Ma oltre il decreto inizia la zona grigia del non detto, del favore, dell'assurdo. Scavando, si apprendono cose interessanti. La principale: quest'isola del privilegio è anche, per curiosa coincidenza, un'isola del crimine. Un microcosmo staccato dal mondo dove per anni ne sono accadute di tutti i colori, delitti grandi e piccoli, affari e amori.
A lungo hanno convissuto sull'isola i magistrati vip che facevano snorkeling e i detenuti che pescavano di frodo girando le spiagge con i mezzi della Polizia penitenziaria. Corruzioni e ruberie hanno prosperato nel microcosmo perso nel mare. Adesso il traffico di donne, uomini e fiocine che movimentava la vita parallela di Pianosa è stato messo sotto inchiesta, e anche di questo nessuno parla. I magistrati intanto continuano a venire: liste d'attesa, amicizie, e quell'aura di fare parte dei giri giusti. Esiste davvero, il Pianosa resort?
I tasselli del puzzle vanno a posto un po' alla volta. All'inizio, alle prime richieste di informazioni, tutti negano. Poi qualcuno ammette un pezzo, qualcuno un altro. Si scopre che a tirare le fila di tutto è il Dap, Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, la direzione delle carceri. Anche dopo la chiusura del supercarcere, è il Dap a regnare su Pianosa, distaccamento del carcere di Porto Azzurro, all'Elba. Ad assegnare i soggiorni a Pianosa è l'Eap, l'Ente assistenziale della polizia penitenziaria. Su tutto pare regni Quirino Catalano, mitico capo divisione del Dap, oggi in pensione, ma rimasto in servizio come consulente. «Dovete parlare con il dottor Catalano», dicono all'Eap. Ma chi ha diritto ad andare a Pianosa? «I dipendenti del Dap e alcuni altri». Chi? Anche i magistrati? «Sì, se ci sono motivi di sicurezza». Cioè? «Devono avere almeno la tutela».
Orbene: la tutela è il livello minimo di scorta, un solo agente, roba che in magistratura non si nega quasi a nessuno. Poi, per via di fatto, a Pianosa va anche chi non ha nemmeno la tutela. Basta aver fatto parte anni fa di un pool antimafia, avere celebrato un processo a rischio come giudice a latere. E le porte si schiudono, verso la vacanza sotto le stelle della Darsena di Augusto. Giusto, sbagliato, chissà, certo nella giustizia italiana succede di peggio. Restano un paio di curiosità. Dove stanno queste casette per magistrati vip? E soprattutto, quanto costano?
Alle domande ufficiali si ottengono risposte vaghe, che rimandano a tabelle popolate di algoritmi. Per capirci davvero qualcosa bisogna venire a Pianosa. Imbarcarsi sull'unica nave che ogni giorno arriva dall'Elba: approdo alle 11, partenza alle 17, il tempo di un bagno o di un giro in kayak. Invece di fare il bagno bisogna addentrarsi nella macchia mediterranea alle spalle del piccolo porto. Arrivare alla punta orientale, al forte napoleonico, girare ancora tra i fichi e il mirto. Prima si incontrano dei brutti villini in cemento: «Beirut», li chiamano qui, destinati ai secondini qualunque. Ma i magistrati dove stanno? «Lì avanti, alla foresteria». Eccole, arrampicate sulle pendici del forte. Case un po' gialle e un po' scrostate, affacciate sull'azzurro infinito del Tirreno. Quanto pagano? «Eh, poco». Quanto poco? «Eh, sette euro, forse dieci». Un'altra fonte, implacabile, conferma: «Sette euro al giorno». Quattro letti, bagno, cucina. Se po' ffà, soprattutto con settemila euro al mese di stipendio.
Maschere, costumi, magliette stese al sole. La terrazza racconta di un'amabile quotidianità da famigliola qualunque. Ci sono dettagli che proprio qualunque non sono: non arrivano a Pianosa con i boat people del traghetto da Marina di Campo ma con la pattuglia navale della Penitenziaria; restano a Pianosa quando la plebe se ne va; la sera cenano alla luce delle stelle da «Brunello», il ristorante dove lavorano i semiliberi spostati qua da Porto Azzurro (e chissà se un ergastolano ha mai servito il giudice che lo ha fatto condannare...).
E in fondo forse c'è una logica, una morale: nell'isola carica di passato remoto e passato prossimo, l'isola di Agrippa Postumo e di Pertini, delle catacombe cristiane e di Nitto Santapaola, fioriscono da sempre leggende terribili. Beh, questa almeno fa ridere.
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