Entro una società di mercato, la scelta di un'impresa di vendere alcune attività non rappresenta una questione politica. Purtroppo non siamo in un'economia priva di interferenza del potere e quindi merita una riflessione la decisione del gruppo London Stock Exchange di cedere Mts, la piattaforma con la quale si scambiano i titoli di Stato, o addirittura la stessa Borsa italiana nel suo insieme.
Gli inglesi sono costretti a vendere a causa di una legislazione europea antitrust che in modo discutibile non contesta i veri monopoli imposti dalla legge (quelli che contraddistinguono tante attività statali), ma punta il dito contro le imprese che si espandono nel mercato: aumentando i clienti e/o acquisendo altre aziende. È infatti per evitare la tagliola Antitrust che a Londra si è presa questa decisione.
È facile prevedere che a subentrare al gruppo britannico saranno i franco-olandesi di Euronext o i tedeschi di Deutsche Boerse. In altri termini, la gestione di un'istituzione cruciale per l'economia italiana rischia di spostarsi dal mondo anglosassone (più aperto al mercato e, dopo la Brexit, lontano dall'eurocrazia) a quello continentale, nel quale la politica pesa in modo significativo. Quando nel 2007 la Lse aveva acquisito la Borsa milanese il matrimonio era stato presentato con argomenti «di mercato». Si mise in evidenza come il gruppo avrebbe unito due modelli di business differenti, dato che la forza della piazza inglese più internazionale di quella italiana si sarebbe avvalsa della presenza della Borsa milanese non solo nel nostro mercato interno, ma pure nei derivati, nei securitised derivatives, nei titoli a reddito fisso e nei servizi di post-trading. Insomma, una fusione per acquisire efficienza.
Dinanzi al nuovo scenario che si apre, invece, la sensazione è che gli sviluppi di Borsa italiana potrebbero essere assai più nel segno della politica che non in quello dell'economia. Trovarsi all'interno di un incrocio di strade che porta da Berlino a Parigi e da quest'ultima ad Amsterdam (proprio nel momento in cui il governo Conte hanno fatto dell'Italia il cuore di un Mezzogiorno d'Europa sovvenzionato e quindi sempre «sotto esame») significa essere costretti a fare i conti con calcoli di carattere geostrategico. Un esito che può molto danneggiare le prospettive della nostra economia nel suo insieme.
Si può solo osservare che l'oscena «opera d'arte» di Maurizio Cattelan, che si trova in Piazza Affari a denunciare in modo assai conformistico le nequizie del capitalismo, potrebbe collocarsi finalmente al suo posto: a simboleggiare il declino di ogni civiltà mercantile e il trionfante avanzare della politica e dei suoi arbitrii.
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