L'iniziativa di organizzare per oggi, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, una grande manifestazione dopo l'uccisione di Giulia Cecchettin, poteva essere una buona notizia. Eppure l'appuntamento, invece di restare apolitico e trasversale, si è trasformato in un evento con una connotazione ideologica estrema, a causa delle posizioni degli organizzatori dei cortei di Roma e Messina del movimento transfemminista «Non una di meno». Un evento nato per contrastare la violenza contro le donne si è trasformato in occasione per mettere sul banco degli imputati tutti gli uomini in quanto tali, il governo Meloni e Israele. Anche a sinistra qualcuno se n'è accorto. Carlo Calenda, di Azione, già ieri criticava la linea oltranzista: «Questa non è la piattaforma di una manifestazione contro la violenza sulle donne e per una società meno maschilista e più equa - ha sbottato - Questa è la piattaforma di un collettivo di estrema sinistra antisraeliano e filo Hamas (notoriamente sostenitore dei diritti delle donne). Sorvolo sui restanti deliri veteromarxisti». I leader dell'opposizione, salvo ripensamenti, non dovrebbero partecipare al corteo romano. Chi per impegni concomitanti, chi per una scelta politica. Fatto sta che il documento di «Non una di meno» ha politicizzato il tema: «Quelle di Roma e di Messina non saranno piazze neutre» hanno spiegato dal movimento, accusando il governo di procedere «a colpi di decretazione di urgenza razzista e classista». Come se non bastasse il comunicato infarcito di asterischi e schwa, è in particolare la posizione su Israele a lasciare sgomenti: «Lo stato italiano deve smetterla di essere complice di genocidi in tutto il mondo» perché «schierandosi in aperto supporto dello stato coloniale di Israele, appoggi di fatto il genocidio in corso del popolo Palestinese». Lecito chiedersi cosa c'entri Israele con il tema dei femminicidi ma, se proprio si vuole citare la situazione in Medio Oriente, sarebbe opportuno spendere almeno una parola per le donne uccise, torturate, stuprate, rapite dai terroristi di Hamas. E le transfemministe, sempre in prima linea nel puntare il dito contro Israele («la guerra è la manifestazione più totalizzante della violenza patriarcale, per questo, e più che mai, siamo al fianco del popolo palestinese»), non dicono nulla sull'attacco terroristico di Hamas.
Indignata l'ex ministra Mariastella Gelmini (Azione): «Confondere la lotta contro la violenza di genere con quello che sta accadendo tra Israele e l'organizzazione terroristica Hamas - dice - è inaccettabile. Non dire una parola sugli stupri subiti dalle donne israeliane è un grave errore. Senza fare chiarezza su questo punto (si è ancora in tempo), la piazza rischia di essere un'occasione persa». E anche Maria Elena Boschi (Iv) considera «deliranti» le parole su Israele.
Le manifestazioni di oggi, insomma, sono una grande occasione mancata e testimoniano la spaccatura che si è creata nell'opinione pubblica dopo la morte di Giulia Cecchettin.
Partendo dalla necessità di contrastare la violenza contro le donne, sembrano essersi delineate due anime: una che vuole trovare soluzioni di buon senso legate al problema, un'altra che usa questo tema per cercare di cambiare la società in ambiti che nulla hanno a che vedere con la violenza sulle donne. Facile dire a quale delle due categorie appartengono le transfemministe.
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