Ma quanti carabinieri c'erano nella notte di Trastevere? Man mano che le versioni si succedono e si accavallano, la scena in cui matura la tragedia del 25 luglio si affolla sempre di più di militari dell'Arma, provenienti dalle stazioni e dai comandi più diversi, vecchi marescialli e carabinieri di poca esperienza che si muovono nel cuore della movida romana, chi per lavoro e chi per i fatti suoi. E in questo miscuglio diventa quasi impossibile individuare il ruolo che ciascuno di essi ha svolto nelle due ore che passano tra il primo faccia a faccia tra i protagonisti della storia - all'1,19 in piazza Mastai - e il suo drammatico epilogo, alle 3,15 in via Cossa, a Prati.
Capirlo è indispensabile, non per dare a Mario Cerciello Rega la «dodicesima coltellata», come paventato dal comandante generale dei carabinieri, ma per individuare le falle, impedire che tragedie simili possano ripetersi. Senza contare che, se non lo chiariranno i carabinieri, lo scopriranno prima o poi gli avvocati dei due giovani americani indagati, che hanno tutto l'interesse a fare emergere il caos che regnava a Trastevere, e che potrebbe aver impedito a Gabriel Natale e a Finnegan Elder di avere a che fare con dei carabinieri.
Così bisogna tornare lì, in piazza Mastai, all'1,19: dove Sergio Brugiatelli, il «mediatore», accompagna gli americani per far loro incontrare lo spacciatore che sta sempre lì, Italo Pompei: quello che rifila ai due studenti tachipirina invece di coca. Nei suoi verbali, Brugiatelli dice che dopo la consegna della polvere, saltano fuori due uomini, «chiaramente appartenenti alle forze dell'ordine», e bloccano Pompei. Quest'ultimo è ancora più preciso, e parla di due uomini su una moto scura che «si qualificano come carabinieri». Chi sono i due? Certamente non Cerciello né il suo compagno di pattuglia Varriale, che verrà chiamato di rinforzo poco dopo. Uno è il maresciallo Pasquale Sansone, vicecomandante della stazione di piazza Farnese, quindi il superiore diretto di Cerciello e Varriale. Cosa ci fa lì? Lunedì viene fatta girare la versione che Sansone e l'altro sulla moto passano di lì per caso, liberi dal servizio, e notano il passaggio di bustina. Ieri nella conferenza stampa il comandante provinciale ribadisce: Sansone è lì per caso. E con lui non c'è solo un collega, ce ne sono altri due, di cui però non c'è traccia nei verbali né di Pompei né di Brugiatelli, che senza essersi consultati parlano entrambi di solo due carabinieri. E che Sansone e gli altri fossero lì a zonzo è smentito da un passaggio dell'ordinanza di custodia a carico di Natale e Elder, in cui il giudice scrive che in piazza Mastai ci sono «gli operanti»: potrebbe essere un modo di dire, se il giudice non aggiungesse che dopo avere identificato Brugiatelli «gli operanti riprendevano il normale servizio». Quale servizio, se erano fuori servizio? E se Sansone e gli altri stanno lavorando, perché un'ora dopo la centrale operativa ordina invece a Cerciello e Varriale di occuparsi dell'estorsione di cui Bugiatelli ha appena denunciato di essere vittima?
Così va a finire che all'appuntamento con i due americani ci vanno un brigadiere disarmato, Cerciello, che avrebbe dimenticato la pistola nell'armadietto in caserma: anche questa è una stranezza, a lasciare l'arma in ufficio sono in genere i carabinieri che hanno figli a casa e non vogliono rischiare incidenti domestici; invece Cerciello vive solo con la moglie. Nei giorni scorsi, d'altronde era girata la voce che Cerciello e Varriale avessero lasciato le loro Beretta sull'auto di servizio, al momento di andare a incontrare gli americani. E questo spiegherebbe, ben più della improbabile versione ufficiale, perché Varriale non apra il fuoco contro l'aggressore del collega.
Ad affollare ulteriormente la scena, dice ieri l'Arma, «c'erano quattro pattuglie che non dovevano essere visibili per non pregiudicare l'operazione». Di che reparto, con che abiti? E cosa facevano le quattro pattuglie mentre Cerciello veniva ammazzato?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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